Valentina è una combattente. Lo dimostra una frase: “Quando sono stata respinta, sono partita per fare la guerra all’ospedale”. A farle scattare l’indignazione, la decisione del reparto di Cardiologia in cui è ricoverata la mamma di non farla entrare perché non vaccinata. No, un tampone negativo non bastava a quanto pare. Lei non si è persa d’animo, tanto da riuscire – grazie all’intervento dell’ex infermiere Raffaele Varvara – a creare un precedente: a breve, presso tutti i reparti dell’ospedale ‘Cardinal Massaia’ di Asti, si potrà accedere per far visita ai propri parenti e congiunti solo con un tampone negativo. Una vittoria che Valentina e Raffaele possono intestarsi senza timore di essere smentiti.

La storia di Valentina

“La mia storia alla fine ha un risvolto positivo, quindi la racconto volentieri. Mia madre è stata ricoverata all’ospedale ‘Cardinal Massaia’ di Asti (dove è tuttora ricoverata) per un intervento programmato all’anca. Il giorno successivo all’intervento ha avuto un infarto, quindi è stata spostata in Cardiologia e in Terapia Intensiva. Mi sono trovata a non poterla andare a trovare perché in Cardiologia non basta il tampone ma serve anche il green pass con due dosi più il tampone, tre dosi, oppure guarigione più tampone. Ho dovuto quindi lasciare mia madre da sola in Terapia Intensiva. A questo punto, ho avuto il contatto di Raffaele Varvara, il quale mi ha suggerito di andare in Direzione Sanitaria, consigliandomi anche come pormi. Io così ho fatto e ho semplicemente chiesto come mai il giorno prima potessi andare a trovare mia mamma in un reparto, mentre il giorno dopo non bastava più il tampone. Si sono barricati dietro la normativa regionale, a cui non intendevano assolutamente derogare per non incorrere in sanzioni. Allora io – come mi aveva consigliato Raffaele – l’ho buttata sul piano umano, quindi ho chiesto se a loro avviso fosse una cosa buona lasciare una donna di 77 anni, operata all’anca, con un infarto e un’altra operazione al cuore in vista, da sola per magari dieci giorni. Si sono un po’ ammorbiditi e mi hanno concesso una deroga per quando poi l’avrebbero spostata nel reparto normale da quello di Terapia Intensiva. Io ho risposto che mi faceva molto piacere ricevere la deroga ma che questo non risolveva assolutamente il problema perché lo avrebbe risolto solo a me e non agli altri. Il risvolto positivo è che ho creato un precedente: quando, prima di andare a trovarla, ho detto a mia madre di assicurarsi che le infermiere sapessero che io potessi andare solo con tampone, non ne sapevano niente nel reparto, per cui la Caposala ha chiamato la Direzione Sanitaria, che ha confermato. Allora la Caposala, quando ha messo giù il telefono, ha detto: ‘Qua, da oggi in poi, si entra solo con tampone’. Quindi ho creato un precedente che permetterà anche ad altri di usufruire del mio stesso diritto. La voce si è diffusa anche negli altri reparti, altre Caposala sono andate a lamentarsi in Direzione Sanitaria di questa norma e pare che a giorni la eliminino, per cui in tutti i reparti si potrà entrare con il tampone. Se tutti fanno come ho fatto io, senza alzare i toni ma solo rivendicando con fermezza un proprio diritto, secondo me qualcosa si può ottenere. Quando sono stata respinta, sono partita per fare la guerra all’ospedale“.

I problemi della normativa regionale

“La normativa regionale consente il libero accesso di parenti per alcune categorie di pazienti ‘fragili’. Tuttavia, viene applicata dalle amministrazioni in senso ancora più restrittivo, vietando l’accesso a tutti. Poi ci sono i reparti che applicano il regolamento aziendale in forma ancora più restrittiva. Il risultato è quello che è accaduto a Valentina. Il green pass non viene più richiesto nei ristoranti e nei mezzi di trasporto, ma purtroppo permane per consentire la visita a un proprio caro. Adesso dovremo attivarci per dare una spallata finale e far crollare questo infame lasciapassare che sta veramente disumanizzando le cure. Non c’è alcuna motivazione scientifica che giustifichi l’applicazione di questo green pass. Facciamo bene a parlarne perché ci siamo tanto concentrati sugli effetti del tanto propagandato vaccino, ma questa macabra usanza all’interno dei reparti non l’abbiamo trattata tanto forse, quando invece merita la stessa attenzione e la stessa indignazione: sembra essere passato di moda quel minimo di buon senso che è richiesto a una professione umana come quella dei sanitari”.