Alcune società private, pagate per correggere – quando non spazzare via – la disinformazione prodotta nel mondo della rete sono ormai in piena attività da qualche anno (in particolare dopo la pandemia). Tutto bello e giusto, no? Chi non vorrebbe spazzare via la disinformazione? Chi non si auspicherebbe di trovare solo verità nello sconquassato mondo dell’internet? C’è un pericolo però dietro questo nobile concetto, un pericolo che, una volta esaminato bene, spinge forse a riconsiderare meglio l’offerta di tali fact checker, ed è quello dell’interesse che si può celare dietro tale attività.

Una domanda, su tutte, va fatta prima di approfondire: come possiamo essere sicuri che chi si spinge in tale compito lo esegua senza alcuna ideologia e in modo totalmente indipendente?

Non si può, anzi, se si approfondisce si scopre che quasi mai è così. Non si spiegherebbe altrimenti il pressappochismo con cui un famoso fact checker che classifica i siti d’informazione pone domande sul nostro indirizzo mail. Tra quelle poste all’attenzione di Fabio Duranti due lasciano davvero perplessi: “Oltre alla propaganda russa, potete fornire prove che i governi ucraini dal 2014 ad oggi sono guidati da neonazisti?” (praticamente con tale modus operandi non esisterebbe giornalismo d’inchiesta). Non contenti, si inabissano anche sul tema Covid, riguardo una nostra intervista al Dott. Barbaro: “Riuscite a fornirci i dati e le ricerche scientifiche che sostengono la tesi che Monkeypox sia un Herpes Zoster e sia stato indotto dal vaccino contro il Covid?”. Chiedono sostanzialmente a dei divulgatori di fornire le prove su ciò che sostiene un esperto.

Il giornalismo deve essere una materia difficile da capire anche ai piani alti del giornalismo.
Il commento di Fabio Duranti e Diego Fusaro.