“I decessi”. Decantati, urlati, quasi invocati come rito apotropaico contro chi non vuole restare senza farsi due domande. Se siete tra questi e non vi siete ancora imbattuti in qualcuno che vi accusa di “insultare i morti” per qualche strana ragione di cui non si conoscono le logiche, siete decisamente un caso isolato.
Quella dei decessi è in effetti un’occasione di strumentalizzazione che non ha eguali proprio per la potenza censoria del tema: niente come parlare di mortalità sembra porre l’interlocutore dubbioso sotto una luce di insolenza e presunzione. E’ in fondo anche per questo che occorre una discreta dose di coraggio per cercare la verità.

L’ultimo tentativo è stato fatto due mesi orsono dall’Istituto Superiore di Sanità, che sulla reale portata letale della pandemia in Italia ha dato ben altre statistiche decisamente dissonanti rispetto ai 130mila morti che in autunno incorniciavano le prime pagine. Pronti, via: fioccano le sbufalate sui 3783 decessi da Covid effettivi dichiarati dallo studio ISS. Possibile che non ci fosse nulla di vero?
Tra le righe dei fact-cheker troneggiano calcoli e proclami: “non si tratta di soli 3783 morti”, “dobbiamo considerare altri parametri!”
Probabilmente si tratta del classico caso in cui si colpisce una parte per colpire il tutto. Perché parlare solo di numeri è più facile che ammettere come può essere letale la mancanza di assistenza ad un anziano, per non parlare dei tagli alla sanità o dei posti letto in terapia intensiva, che pure diventano un “discorso populista”, se interroghi gli addetti ai lavori.
I negazionisti della realtà sono anche questi: “Non parlate di tachipirina e vigile attesa, non è vero!”, salvo poi dover fare affidamento solo sul paracetamolo dopo aver fatto quillare invano il telefono del proprio medico.
E’ un quadro che emerge anche dalle nostre testimonianze in diretta, come quella di quest’operatore sanitario.