L’epifania del Coronavirus non ha inventato di fatto nulla ma semplicemente ha potenziato tutta una serie di tendenze organiche alla globalizzazione turbo-capitalista. Tali tendenze si sarebbero probabilmente imposte in un modo o nell’altro ma grazie all’emergenza pandemica hanno avuto l’occasione di affermarsi più rapidamente e senza troppe resistenze.

Quella che stiamo vivendo da due anni a questa parte può essere intesa come una grande forma di laboratorio sociale, politico ed economico per accelerare le principali tendenze della globalizzazione turbo-capitalistiche. Tra queste spunta in primo piano la riorganizzazione neo-padronale del lavoro che va sotto il nome, apparentemente entusiasmante, di smartworking. Si potrebbe dire che dietro la formula apparentemente seducente di smartworking si nascondono le vecchie rapaci forme dell’espropriazione di plus-lavoro a beneficio del padronato cosmopolitico.

Dietro lo smartworking vi è sempre il vecchio concetto di sfruttamento capitalistico. Si consideri una notizia di cui si è discusso ampiamente in questi giorni, diffusa tra gli altri dall’Huffington Post, con un titolo che così suona: “Amministratore delegato licenzia con una videochiamata Zoom oltre 900 dipendenti: ‘Il tuo rapporto di lavoro è terminato con effetto immediato'”. Insomma la formula lasciare a casa con cui si indicava il licenziamento in forma pudica, adesso acquista un senso ancora più amaro giacché con lo smartworking la nostra stessa casa diventa indistinguibile dal luogo del lavoro. Questo rientra a pieno in una trasformazione niente affatto anodina del modo di lavorare grazie all’emergenza epidemica.

Secondo la narrazione ufficiale lo smartworking servirebbe a difendere le nostre vite messe in pericolo dall’emergenza. È difficile non vedere come dietro questa modalità di lavorare si nasconda anche una ben precisa riorganizzazione padronale del lavoro. Con lo smartworking infatti in primo luogo si ha l’isolamento coatto dei lavoratori. Ciascuno di essi è condannato ad essere isolato e a lavorare da casa. Si produce così quella frammentazione della classe lavoratrice che impedisce ogni nascita di una coscienza sociale oppositiva, una coscienza di classe, ogni forma di protesta organizzata.

In secondo luogo con lo smartworking sparisce la linea divisiva tra tempo del lavoro e tempo della vita. Si verifica quella che ho chiamato l’aziendalizzazione della propria dimora. Con questa ultima figura del licenziamento di lavoratori che restano a casa, essendo già per altro nella loro abitazione, abbiamo il non plus ultra della volgarità di questo mondo che pure utilizza continuamente la formula smart per nascondere qualcosa che di smart ha realmente poco.

Benvenuti nel tempo dello smartworking ossia delle nuove e più evolute forme dello sfruttamento del lavoro a beneficio del padronato cosmopolitico e a nocumento della classe lavoratrice sempre più frammentata, afasica e sfruttata.

RadioAttività, Lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro