Le minacce del futuro rappresentate in un cult del passato. Perché nulla esercita paura e insieme fascino sull’immaginario collettivo come l’ignoto, il progresso, il futuro. Di certo Terminator, pellicola diretta da James Cameron nel 1984, è una più che fantasiosa immaginazione di come evolverà il rapporto uomo-macchina, reso impossibile e a tratti horror nell’interpretazione di Arnold Schwarzenegger nei panni della macchina assassina fornita di un potente endoscheletro metallico e uno strato esterno di tessuto vivente che lo fa mimetizzare tra gli esseri umani. L’evoluzione del progresso tecnologico ha in realtà radici più antiche di quanto pensiamo; ne vediamo un’idea già dettagliata nelle tre leggi della robotica di Isaac Asimov, padre dell’immaginario fantascientifico e ispiratore di diversi film che mandano avanti l’orologio fino ad epoche in cui esseri umani e macchine giungono alla resa dei conti.

Terminator non è ovviamente da elevare a film profetico: l’analisi che ne facciamo insieme a Sandro Torella è puramente artistica e critica nei confronti di un’opera che vede mescolarsi diversi stili cinematografici: dall’horror allo splatter, dalla fantascienza all’azione passando per il thriller. Il risultato è una resa senza eguali sul grande schermo delle paure più intrinseche dell’uomo nei confronti del progresso.