Può un discorso di oltre 2000 anni fa essere rivoluzionario?
Sì, se quel discorso viene pronunciato da un grande statista, come Pericle, in una grande città, come Atene, in una grande società, quella ateniese, immersa nella casa della filosofia, l’Ellade.
Un discorso, quello pronunciato nel 431 a.C., che svela i più grandi fondamenti della democrazia. Fondamenti che sono invecchiati, tanto quanto l’orazione del politico più famoso nel periodo più splendente della culla della civiltà, e che dunque occorre spolverare in un periodo di estrema crisi democratica, economica e sociale.
Se ne occupa in questa speciale rubrica l’economista Valerio Malvezzi, economista e classicista dal passato politico.
Nella prima puntata di “Discorsi sull’Economia Umanistica” riscopriamo attraverso l’orazione di Pericle, letta e spiegata dal Prof. Malvezzi, i più antichi valori perduti che hanno fatto grande la civiltà occidentale.

Molti di voi mi chiedono come mai io non faccia politica o non voglia fare politica, altri mi augurano di farla e via discorrendo. Perché non parlo di politica? Semplice, perché quello che voi pensate sia politica non è questa roba che abbiamo appena letto. Questa è politica.
Quello che ho appena letto è il discorso di Pericle agli ateniesi che fu pronunciato come orazione ai caduti per la Patria nel 431 a.C.
Sostanzialmente è un inno alla politica intesa come un misto di virtù e di senso pratico. Questo per me è il legame tra l’economia umanistica e la politica.

“Non esistono governi tecnici”

Quando Pericle pronuncia questo discorso nel 431 a.C., egli si circondava di persone che erano certamente dei grandi tecnici, ma erano persone che servivano a costruire opere come il Partenone, come l’Eréchtheion, come il Theseion, come l’Odéion. Le persone di cui si circondava erano ad esempio Fidia, grande scultore, Eschilo, Sofocle, Euripide, grandi drammaturghi, o ancora Socrate, immenso filosofo. Questo era il concetto dei tecnici che dovevano circondare la politica.
Nel terzo libro “Delle forme e delle storie” di Erodoto troviamo cose simili. Li troviamo nella Politéia di Platone. Li troviamo nelle riflessioni di Polibio. Lì troviamo i fondamenti della democrazia come noi la conosciamo.

Questo concetto è l’opposto di quello che vi fanno credere oggi, cioè che la democrazia significhi votare il nostro vicino di casa, quello come noi, uno come noi, che uno vale uno. Non è così. Nei fondamenti della democrazia come noi la studiamo sui libri di storia invece c’è scritto che ci è stato insegnato che devono andare a governare i migliori. Questo è il vero significato di questo passo: non sprecare la democrazia.
E il secondo grande concetto che è qui spiega è: non esistono i governi tecnici”.

“Il vero significato di democrazia”

E’ importante studiare la storia per capire la contemporaneità. Pericle ad esempio sapeva benissimo che la democrazia e l’economia di mercato sono due facce della stessa medaglia. Non solo, egli ci insegnava che gli affari pubblici devono essere dibattuti nei discorsi politici: concetti che poi i grandi della storia anche latina – come Seneca e Cicerone – hanno ripreso. Il concetto cioè del beneficio, l’economia umanistica deve dare lo stesso beneficio a diverse classi sociali, deve bilanciare il potere tra i cittadini. Il concetto stesso di democrazia è stato da noi dimenticato; la parola democrazia deriva dall’unione tra dèmos e cràtos, cioè non solo il potere del popolo, ma anche il governo del popolo: state ben attenti, perché un conto è il potere, un conto è il governo. Il vero governo del popolo è il governo democratico.

Il fondamento della città greca e del concetto di democrazia era sostanzialmente l’aretè (ἀρετή), una parola intraducibile di discendenza omerica che voleva dire un insieme di cose: senso civico, etica, forza, virtù. Vi chiedo: ma quando nei talk show televisivi sentite degli uomini politici fare questo genere di discorsi?
Quando leggo il discorso che Pericle fece agli ateniesi io lo vedo sostanzialmente come se fosse un discorso attuale, lo sento riecheggiare come se fosse tra le colonne dei templi greci, nelle piazze dell’agorà, nelle strade di allora. In particolare sento riecheggiare tre parole in questo mantra: popolo, territorio e Stato.
La Repubblica, quella italiana, non è solo fondata sul lavoro, ma parla del motivo per cui io sono un sovranista e non me ne vergogno. Sono un svanita perché nell’articolo 1 c’è scritto che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti garantiti dalla stessa Costituzione.
Forse sono un illuso, ma sogno di vedere un nuovo Pericle che non sia un politico, ma uno statista italiano che da Roma si alzi e dica alla finanza, agli oppressori, a quelli che vogliono togliere la democrazia:
Qui, a Roma, noi facciamo così“.