Dal 1989 ad oggi, siamo vissuti sotto la cupola del teorema thatcheriano del “there is no alternative”: “non esistono alternative!”.
La politica e l’economia erano gestite, nel mondo occidentale, in coerenza con il verbo liberista e con le sue determinazioni concettuali e pratiche fondamentali. Destra e sinistra, in una mirabile alternanza senza alternativa, si succedevano al governo per attuare a turno le riforme imposte autocraticamente dai mercati. Certo, a mo’ di compensazione e di sfogo, gli armigeri dell’ordine neoliberale consentivano alle masse ipersfruttate di trovare un cosmetico ristoro nei diritti civili del consumatore individuale, quelli per inciso che non impegnano mai la sfera del sociale, dell’economico, del lavoro.

Ebbene, dal 2020 in modo lampante, mi pare che del teorema del “there is no alternative” stia prendendo forma una variante, per usare un’espressione molto in auge nell’ambito medico-scientifico, di ordine ideologico. Tale variante implica che non possano darsi alternative di discorso, di prospettiva e di narrazione rispetto a quella dominante che fa da completamento ideologico all’ordine del blocco oligarchico neoliberale.
Fino a prima del 2020, infatti, era pur sempre possibile esprimere una visione delle cose alternativa, a patto che si accettasse la Mistica sacra dell’assenza di alternative sul piano pratico, politico e sociale. Si poteva in altri termini dire ciò che si voleva, perché in ogni caso era garantito l’ordine dei dominanti, che nemmeno veniva scalfito da eventuali narrazioni diverse.

Ora, è come se nell’attuale ristrutturazione autoritaria e verticistica che sta prendendo forma grazie all’emergenza epidemiologica e alla riorganizzazione della società, della politica e dell’economia che essa sta rendendo possibile, si stesse imponendo anche un ordine unico autoritario nella sfera superstrutturale, direbbe Gramsci, o, se preferite, più semplicemente, nell’ambito del pensare e del dire.
Da un diverso angolo prospettico, si sta con forza imponendo l’idea che non soltanto non possano esistere alternative reali all’ordine dominante, ma che nemmeno possano darsi narrazioni e visioni alternative rispetto a quella egemonica.
La cosiddetta lotta contro le fake news, infatti, non ha per bersaglio reale le menzogne palesi, come l’inesistenza del virus o la forma piatta della terra, per menzionarne due tra le tante: al contrario, accosta a queste balorde menzogne palesi (e le tratta analogamente) tutte le visioni che non siano millimetricamente allineate con quella dominante, quindi tratta ogni visione non allineata come se fosse la dottrina della terra piatta, come se fosse la balorda idea secondo cui il virus non esiste.
Per ciò stesso, le forme non allineate vengono puntualmente contrastate in forme che sempre più palesemente eccedono l’ambito della mera discussione o, più in generale, del semplice agire comunicativo di habermasiana memoria.

I nuovi roghi virtuali delle reti sociali, la chiusura automatica dei profili di chiunque dissenta, i provvedimenti disciplinari per quanti osino sostenere tesi divergenti, sono altrettante spie che segnalano la presenza di un mutamento di passo da parte del blocco oligarchico neoliberale. Ciò che è in questione, infatti, non è la verità o la falsità di tesi diverse rispetto a quelle che si presume siano vere per decreto del Ministero della Verità: in questione è invece la stessa dicibilità di ogni tesi che non sia conforme e organica rispetto al quadro ideologico egemonico di completamento dei rapporti di forza.
Per questa ragione, sempre più spesso assistiamo a una novità degna di rilievo: le tesi non allineate non vengono criticate, magari anche spietatamente, mediante le pratiche della diffamazione e della demonizzazione; alle tesi non allineate non viene nemmeno più concessa la possibilità di esprimersi, poiché sempre più apertamente si presume che esse siano pericolose e nocive.

Penso per inciso al caso di chi senza perifrasi disse che la disinformazione, vale a dire ogni controinformazione, uccide quanto il virus. Sulla base di presupposti come questo, le tesi non allineate non chiedono di essere confutate; chiedono invece di essere messe nelle condizioni di non poter essere neppure enunciate. Se fossimo vissuti in tempi diversi, forse la religione si sarebbe fatta carico di puntellare ideologicamente questo nuovo rapporto tra sapere e potere nella forma poc’anzi impressionisticamente enunciata. Nel nostro tempo, invece, la scienza si presta incredibilmente meglio rispetto alla religione a svolgere questo compito ingrato, negando il proprio statuto scientifico e abbassandosi a mera ideologia di supporto dei rapporti di forza dominanti: di qui l’ideologia scientifica, da distinguersi attentamente dalla scienza.
Questa involuzione rappresenta una prova di più a sostegno della tesi di quanti – come il sottoscritto – individuano nella emergenza epidemiologica un momento decisivo di riorganizzazione autoritaria dei rapporti di forza su scala planetaria.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro