Stai male? Tachipirina e aspetta finché la situazione non si aggrava. Una sintesi coincisa ma fedele a quello che è stato per diversi mesi il protocollo ufficiale da seguire in Italia per curare i pazienti affetti da Sars-Cov-2.
Delle regole che purtroppo hanno reso la medicina di territorio una mera sentinella dei pronto soccorsi, quando invece avrebbe potuto essere la vera combattente sul campo destinata a sconfiggere il Covid.
Lo dimostrano le testimonianze di sempre più medici di base, che non rispettando le direttive ministeriali emanate a marzo, hanno continuato ad andare a casa dei pazienti, a seguirli, a curarli e, nella stragrande maggioranza dei casi, a salvarli.

Ma allora perché non fanno tutti così? Esistono medici buoni e medici “cattivi”?
Domanda spontanea, che racchiude una risposta più giuridica, che medica: con il protocollo, qualora non sappia cosa fare, il medico è protetto: gioca in difesa, è autorizzato a non curare a domicilio pur di non vedersela con la legge.
Legge che invece perseguirebbe molto più duramente chi, come il medico e chirurgo Andrea Stramezzi, continuando a monitorare e curare i pazienti a domicilio dovesse incorrere in imprevisti.
Un approccio, questo, che però a giudicare dai risultati farebbe tutta la differenza del mondo nei bollettini giornalieri e nei necrologi da Covid… se solo tutti lo seguissero.

Scopriamo di più nell’intervista di Fabio Duranti e Francesco Vergovich ad Andrea Stramezzi.

Il Covid si può fondamentalmente riassumere così: due malattie in una. La prima è l’infezione virale, cioè il virus respiratorio che entra attraverso i polmoni e non attraverso la pelle e i vestiti. E’ anche per questo che sono uno di quelli che va a curare i pazienti, anche quattro o cinque in una piccola casa, e vi assicuro che non metto tute di contenimento, né maschere strane, né metto guanti o mi disinfetto continuamente.
Io visito i pazienti semplicemente mettendo due mascherine.
Quando il virus entra nel corpo crea una virosi, cioè un infezione virale, e inizia a riprodursi. Noi a questo punto dobbiamo intervenire cercando di rallentare questa virosi.

Per farlo abbiamo diversi mezzi: il primo sono sicuramente gli antiinfiammatori. Attenzione: non la tachipirina, che non è un antiinfiammatorio in quanto paracetamolo. Fra l’altro in letteratura è noto che riduca i livelli di glutatione, e sempre in letteratura scopriamo che il glutatione è essenziale per proteggere dal Covid; per cui non paracetamolo, ma antiinfiammatori. Per esempio la semplice aspirina è molto utile, anche perché è un antiaggregante piastrinico.

La tachipirina, insieme alla vigile attesa, è il combinato che poi porta spessissimo le persone alla morte.

Inoltre noi cerchiamo di ridurre non solo il riprodursi del virus con azitromicina, che è un antibiotico, un macrolide anche immunomodulatore e che ha un effetto antivirale; ma anche – io personalmente insieme ad altri colleghi – con l’idrossiclorochina, che è stata finalmente riabilitata.
Leggevo oggi un articolo del Professor Fauci, virologo statunitense numero uno, il quale nel 2005 parlava dell’idrossiclorochina come il miglior farmaco esistente per la Sars. Siccome questo è sempre uno dei virus della Sars, è ovvio che se hanno cambiato idea è perché c’è stato un diktat dell’OMS.
Quindi noi diamo antiinfiammatori, azitromicina e idrossiclorochina, e lo facciamo nei primi giorni di sintomi: il timing è fondamentale
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Prima si inizia la terapia, prima noi siamo in grado di ridurre l’evoluzione della malattia, e quindi di fermare o rallentare la replicazione virale.

Il secondo tipo di malattia qual è: un quarto della popolazione malata ha una reazione esagerata che si scatena in maniera anomala e fa diventare in pratica questa malattia autoimmune, con quella che viene chiamata la tempesta citochinica. In pratica è l’organismo stesso che crea i danni all’individuo. Ecco perché noi col cortisone cercheremo di prevenire questa cascata citochinica, e contemporaneamente cercheremo anche di prevenire i danni di questa tempesta citochinica che sono fondamentalmente i microtrombi che vanno a bloccare gli alveoli polmonari insieme alle microembolie: il paziente così non respira più bene, viene ospedalizzato, intubato e purtroppo spesso giunge alla morte.
Questa qui quindi è una terapia che previene la seconda parte della malattia, quella in cui il sistema immunitario reagisce male.
Guarda caso l’idrossiclorochina è un farmaco per malattie autoimmuni e il Covid può diventare una malattia autoimmune.

Ho curato centinaia di pazienti sin da marzo e nessuno di loro è deceduto, ma soprattutto la percentuale di ospedalizzati è bassissima.

Protocollo: l’alibi del cattivo medico

Quando io e quelli della mia generazione si sono laureati ci insegnavano a fare i medici, cioè a cercare di capire che problema aveva un paziente e a cercare nella nostra preparazione con scienza e coscienza di guarirlo e curarlo.
Una quindicina di anni dopo hanno inventato i protocolli. “Protocollo” è una parola che a me fa venire l’orticaria. Cosa succede col protocollo? Quello per esempio dell’ordine dei medici stesso che è stato richiesto al Professor Galli e al Sacco di Milano per darlo ai medici. Bene, fondamentalmente questo protocollo dice: tachipirina e attesa, poi ora hanno iniziato a cambiarlo, aggiungendo cortisone ed eparina.

Voi capite che il protocollo è qualcosa che serve al “cattivo medico”, ma non perché chi lo segue è un cattivo medico, ma serve al medico che non sa cosa fare a non avere rischi dal punto di vista medico-legale. Se io seguo il protocollo nessuno mi può dire niente. Mi denunciano? Io tiro fuori il protocollo, dico che me l’ha detto il Ministero, l’ordine dei medici o il Professor Galli e io lo seguo.

Perché sono qui a cercare di divulgare? Perché vorrei che ascoltassero altri medici che si sono ritrovati nella prima e nella seconda ondata a non andare a casa a visitare i pazienti – seguendo il protocollo – e a dire a paziente di prendersi la tachipirina e aspettare il 118 se si aggrava. Però io eticamente non ci sto, perché per me è sacra la vita del paziente.
Quello che io voglio fare è convincere i miei colleghi, che siano medici generali, ortopedici, dermatologi, neurologi, a mettersi la doppia mascherina, andare a casa dei pazienti e visitarli. La visita è fondamentale: già quello fa un 20% di più per far star bene il paziente
“.