Inter facile come previsto e avanti tutta verso quella cosa lì che non vogliono pronunciare manco non fossero più abituati all’oggetto in questione…

Elementare, Inter. Dopo trentadue secondi era tutto fatto, Lukaku gol. Altre novità? Allenamento, con  il Genoa in lockdown pensando al derby di mezza settimana, meglio non rischiare come aveva fratto qualche ora prima la Samp che le aveva buscate dall’Atalanta di nuovo aggressiva e con Ilicic a mani basse.

Inter, dunque, facile come previsto e avanti tutta verso quella cosa lì che non vogliono pronunciare manco non fossero più abituati all’oggetto in questione. Trattasi di scudetto confortato dal gioco e dal sistema che Conte ha trasferito alla squadra. Lo schema prevede di offrire palla al gigante che rende tutti puffi, poi il resto si esalta e va via sciolto, con rarissime distrazioni difensive.

E’ diventato titolare addirittura Eriksen ed anche questo significa molto, se non tutto di come il cielo sopra Milano e l’Italia sia tinto di nerazzurro. Il merito di Conte è indiscutibile, in Campionato. Resta la rabbia del flop in Coppa e resta il timore che i cinesi scappino nottetempo con il conto da pagare a calciatori, dirigenti, dipendenti e fornitori.

L’Inter non merita questo, l’Inter di Conte e di Lukaku, di Lautaro e di Barella non può essere abbandonata sul più bello, dopo undici anni di digiuno, dopo undici anni di attesa e di delusioni. Per fortuna la squadra ha una dignità superiore ai proprietari e risponde con una lezione di impegno a sacrificio a chi è venuto in Italia per speculare, arrivando al punto di ridurre il nome e il cognome di Angelo Moratti al centro sportivo di Appiano Gentile per sovrastarlo con quello di Suning.

L’Inter non è cinese. L’Inter è storia del nostro football. Lo scrivo nel momento giusto, con la squadra che riassapora i risultati antichi. E il bello forse deve ancora venire.

Tony Damascelli