Duro attacco di Alberto Bagnai a Giuseppe Conte e al Governo nel corso della seduta del Senato n. 293 in merito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio sulla possibile crisi di Governo.

“Signor Presidente, sono stato colpito, nel discorso tenuto questa mattina dal Presidente del Consiglio, da alcune espressioni che mi hanno veramente interessato per la loro improntitudine, direi. Ne cito un paio.

Cito: «un costante e serrato dialogo con tutti i livelli istituzionali»: basta fare una rapida ricerca su Google per vedere che non solo il governatore Zaia, Fedriga, il presidente Tesei, ma perfino il presidente Bonaccini ha lamentato pubblicamente l’assenza di interlocuzione con questo Governo e il presidente Bonaccini è affine a questa maggioranza, motivo per il quale io ho grande stima per lui, per questo suo coraggio politico, come lui del resto ha grande autostima di sé.

Cito: «C’era una forte spinta ideale, un investimento di fiducia». Ma insomma, diciamocelo: quale spinta ideale? L’ideale era solo unirsi contro Matteo Salvini; l’ideale era impedire agli italiani di esprimersi con il voto. (Applausi).

Quindi è chiaro che con un ideale puramente negativo l’investimento di fiducia ha avuto un rendimento negativo, come tanti altri investimenti di questi tempi, ma non è un dato inatteso. Noi avevamo avvertito i nostri ex alleati sui rischi che correvano affidandosi a un personaggio ambizioso e spregiudicato.

Il momento della verità è arrivato con il recovery fund. «Crescentem sequitur cura pecuniam», dice Orazio; lo dice oggi l’«Handesblatt»: «Wo sich das Geld mehrt, folgt die Sorge nach» (tradotto per gli astanti: all’arrivo del malloppo è iniziata la lotta per la spartizione). Molti miliardi, nessun progetto: così titola il principale quotidiano economico tedesco. E quindi non solo gli italiani, ma anche i vostri fratelli europei, eure Brüder, non hanno fiducia in voi, perché vedono che la vecchia politica si spartisce il malloppo, corre a spartirselo ignorando chi dovrà restituirlo, cioè gli italiani. E quindi la sfiducia è motivata, perché, per citare un altro poeta, abbiamo di fronte a noi un Governo «dai piedi di balsa, inventore di una storia falsa» che campa su una menzogna. (Applausi).

La menzogna sottostante alla narrazione del Governo è l’idea che prima della crisi pandemica tutto andasse bene nel migliore dei mondi possibili, la cosiddetta Europa, e che a questa la cosiddetta Europa abbia risposto nel modo migliore, dando prova di solidarietà e riconfermandosi come il migliore dei mondi possibili. Quindi dobbiamo essere europeisti; cioè, non buoni, ma buonisti; non arrivati, arrivisti; non giusti, giustizialisti; non europei, europeisti: tutto è ideologia qua dentro. (Applausi).

Ma anche qui ci vuole poco a smentire questa narrazione truffaldina, no? Del resto il meccanismo è sempre quello: se siete così bravi, perché vi terrorizza il voto? E se prima tutto andava bene, perché ora si afferma l’esigenza di cambiare le regole?

Ex multis, il 21 novembre scorso il presidente Ursula von der Leyen ci faceva sapere su Twitter che nessuna regola dovrebbe ostacolare il tentativo dei governi di pompare euro nell’economia; nessuna regola dovrebbe farlo. Quindi, ancora oggi, riconosceva l’esistenza di un problema con la governance del migliore dei mondi possibili, il mondo europeista. Non andava tutto bene e sarebbe stato sorprendente, considerando in che mani siamo: nelle mani della stessa von der Leyen, che da ministro del lavoro della Repubblica federale tedesca, il 23 agosto 2011, si univa alla richiesta finlandese di ipotecare il Partenone, una richiesta che alla Finlandia non ha portato benissimo. Siamo nelle mani di chi ha ritardato una risposta unitaria forte dell’Europa aspettando che la pandemia gli arrivasse in casa: questo è un dato oggettivo e se ne è scusata la stessa von der Leyen.

Quindi le cose non andavano bene e lo dicono i numeri: nel mondo europeista le cose non andavano bene. Torno a mettere i numeri a verbale: secondo le ultime stime della Banca d’Italia nel 2020 il PIL è diminuito del 9 per cento, raggiungendo il livello del 1998, ma in questo balzo all’indietro di ventidue anni voglio attirare la vostra attenzione su un punto. Il Covid ovviamente ha dato un contributo importante, ma non poi così determinante, perché nel 2019, anno pre-Covid, il PIL era al livello di quindici anni prima, al livello del 2004. Quindi, già da prima della crisi l’arretramento del Paese era di quindici anni e già prima della crisi ci sarebbero voluti venti anni per tornare al livello del PIL del 2007, nel meraviglioso mondo europeista delle regole. Questo era il mondo del 2019.

Vi do un’altra evidenza palpabile di che cosa sia l’europeismo di cui qui si parla e di che cosa siano le regole e le riforme. Tra il 1960 e il 2011 gli investimenti pubblici in questo Paese sono cresciuti dell’1,7 per cento medio all’anno. Mantenendo questa crescita, tra il 2012 e il 2019 avrebbero dovuto raggiungere circa 44 miliardi di euro malcontati; invece nel 2019 gli investimenti sono stati di 28 miliardi di euro. Per trovare un valore così basso bisogna risalire fino al 1978. Sì, avete sentito bene: bisogna risalire all’anno del sequestro di Aldo Moro per avere un livello così basso di investimenti pubblici in Italia, ma da quei tempi il PIL è raddoppiato. Come possiamo pensare di sovvenire al bisogno di infrastrutture di un’economia che ha raddoppiato di volume con una fornitura di infrastrutture che poteva essere forse adeguata a quarantatré anni fa?

Vogliamo dunque riflettere insieme su queste cifre, che non riguardano solo gli elettori della Lega, ma tutti gli elettori? Questo risultato assurdo, questi tagli sconsiderati, non sono figli di NN, ma sono figli di MM, e per questo ci è particolarmente odioso assistere alle spericolate e sterili acrobazie dialettiche, di chi continua a raccontarci che il bene del tutto si può conseguire facendo il male delle parti e così pensa di esprimere un pensiero liberale, con la tracotanza di chi si sente depositario della verità – e dice anche di esserlo, fra l’altro – essendo in realtà intestatario solo di un fallimento epocale, da cui tutti oggi si distanziano.

Qualsiasi progetto di ripresa economica del Paese è destinato a fallire, senza l’abbandono o almeno un profondo ripensamento delle regole, che arrestarono la ripresa nel 2012. So che c’è consapevolezza di questo in una parte della maggioranza (direi in una parte molto ampia) e ha fatto bene il collega senatore Pittella a chiedere, il 16 settembre scorso, al presidente von der Leyen, che il Patto di stabilità venisse non solo sospeso, ma anche riscritto. La domanda che però mi pongo e che tutti ci dobbiamo porre è cosa ne sia stato di questa richiesta. A quanto ci consta non ne è stato nulla, perché la cosiddetta Europa non è cambiata e la retorica delle riforme, che il premier ha riaffermato, è qui per smentire la retorica del cambiamento. Le riforme, come ci è stato autorevolmente ricordato dal solito collega, sono sempre quelle dell’agosto 2011 e sono sempre quelle della lettera di Draghi: tagli e tasse. È l’eutanasia non del rentier, di cui parlava John Maynard Keynes, ma della classe media imprenditoriale, di cui un importante uomo politico italiano ha parlato qualche giorno fa, con grande disinvoltura.

Quindi, cari colleghi della maggioranza, la verità è che in Europa nessuno vi ascolta e questo punto è importante per il Paese. Colleghi, ai vostri elettori potete anche vendere come autorevolezza in Europa quella che, in effetti, è solo cedevolezza, ma qui siamo abbastanza attrezzati culturalmente da capire che, se autorevolezza ci fosse, la domanda del collega Pittella avrebbe già avuto una risposta, perché da europeo – non da europeista – vi posso dire che, negli altri Paesi europei, il dibattito sulle regole esiste, è molto avanti ed è quello il treno che stiamo perdendo.

Invece, la cedevolezza vi rende fragili in Europa, come le menzogne vi rendono fragili in patria, ma la radice del male è sempre la stessa, ovvero il disallineamento del Parlamento dal Paese e il disallineamento dei rappresentanti dai rappresentati. Questo dato politico è gravissimo, ma ovviamente non turba chi aveva come programma l’abolizione della democrazia rappresentativa, vendendo la facile illusione che, dal proprio divano di casa, si potesse comandare il mondo con un click, e non turba, ovviamente, neanche chi ha la certezza di poter governare a prescindere dal consenso, grazie alle sponde che, per ora, trova negli apparati italiani e soprattutto europei.

Quindi, va tutto bene? Evidentemente no e lo confessate voi stessi. Ho sentito dire che il Paese merita un Governo coeso, ma come può essere coeso un Governo sostenuto da un’accozzaglia di pulsioni irrazionali e minoritarie? Parlate di visione, ma quello che vi unisce è l’istinto di sopravvivenza. (Applausi). Più che un profumo di speranza, sento l’odore della paura. Come si chiama la vostra ciambella di salvataggio? Italia fino al 23 (e poi Germania, come ha aggiunto uno di voi, particolarmente spiritoso)? A questa catena di menzogne, come la spinta ideale, il migliore dei mondi possibili e la visione, a nome della maggioranza degli elettori vorremmo che si ponesse immediata fine e naturalmente deciderlo non sta a noi, ma ai numeri.

Accingendomi dunque a concludere, signor Presidente, a questa maggioranza non mi resta che fare tanti auguri. Voi continuate a lavorare per darci, coi vostri fallimenti, un sempre maggiore consenso. Noi vi ringraziamo e continueremo a lavorare per canalizzare questo consenso in un vero progetto di cambiamento. «And believe me, it will be enough». Viva l’Italia, viva la democrazia!”