“In Italia si parla se il limite del contante debba essere mille o tremila euro, per me dev’essere zero. Noi dovremmo dire a partire da domani…”. Con queste parole Colao esprimeva chiaramente nel 2019 la sua idea sul cashless che oggi è diventato uno dei cavalli di battaglia del Governo Conte. Nel suo discorso, l’attuale esponente della task force, precisiva che l’abolizione del contante avrebbe potuto portare ad importanti vantaggi economici per le imprese (non per lo Stato).

Quello che oggi quindi stride è il fatto che, un manager che da sempre ha curato interessi di aziende private, si trova a dover tutelare l’interesse pubblico. Ne è un esempio di questo possibile “conflitto di interessi” la strategia del contante zero che oggi lo Stato sta portando avanti e che tanto desiderava Colao: invece di andare incontro all’interesse della società sembra andare maggiormente verso gli interessi di grandi gruppi finanziari privati.

È giusto inserire un manager, che ha sempre lavorato e continuerà a lavorare per grandi aziende, a capo della gestione della cosa pubblica?

Ecco cosa ne pensano Fabio Duranti e Diego Fusaro in questa puntata di ‘Un Giorno Speciale con Francesco Vergovich”.

IL VERO INTERESSE DI COLAO NON È IL BENE PUBBLICO ▷ Ecco le parole con cui lo ammette chiaramente

“Colao dice annientiamo il denaro contante, non per fini etici, ma per aprire possibilità alle imprese di aprire i propri servizi e di arricchirsi. Lui è un manager di impresa privata, il mantra di una impresa privata è il lucro. L’investitore non è un benefattore, non è un uomo di Stato con interessi per il benessere della persone. Il suo interesse è il portafogli. Questo è il lavoro dei manager.

Questo non è un errore, è un disegno. Se chiami Colao non stai chiamando qualcuno che ha interesse a fare gli interessi pubblici. Loro oggi hanno la possibilità, con un Governo accondiscendente, di fare quello che è il loro mestiere, che è corretto dal loro punto di vista ma che non lo è dal punto di vista di uno Stato.

Ci sono manager che stanno guadagnando decine di milioni di consulenze, di royalty.. una volta pagare qualcuno per far concludere un accordo commerciale tra Stato e privato si chiamavano tangenti, e andavi in galera. Poi dopo la Prima Repubblica hanno capito che non serviva rischiare di andare in galera per una tangente… basta affidare un incarico di consulenza”.