Una chat su WhatsApp per sconfiggere il Covid-19 anche da casa. È così che ha pensato di agire il Dott. Andrea Mangiagalli, Medico di Medicina Generale presso l’Azienda Sanitaria Locale di Milano. Con la Dottoressa Laura Frosali ha creato una chat dove pian piano si sono aggiunti sempre più medici, al fine di sviluppare un approccio alla terapia per sconfiggere tutti insieme il virus. Un metodo efficace, a quanto afferma il Dott. Mangiagalli, e addirittura maggiormente risolutivo per la cura dei pazienti.

“Ho trattato una paziente di 80 anni con precedenti gravi – racconta il Dott. Mangiagalli i parenti mi hanno chiesto di non farla ricoverare e io me ne sono fatto carico. Oggi sta bene ed è, di fatto, guarita”. Questa è solo una delle tante storie che il Dottore ha visto svolgersi davanti a sé: la terapia da casa funziona, afferma, ed è per questo che trova inammissibile il fatto che enti e istituzioni non vogliano guardare questi dati e correggere il tiro dei vari trattamenti contro il virus preferendo, invece, ospedalizzazioni che generano caos all’interno delle strutture sanitarie.

A “Un giorno speciale” Fabio Duranti e Francesco Vergovich hanno rivolto tante domande al Dott. Mangiagalli: in cosa consiste questa terapia? Perché è così efficace? Le sue risposte in questa intervista.

VI DICONO CHE NON C’È UNA CURA: FALSO! ▷ “Guardate, con la medicina di base nessun morto di Covid”

“Dei pazienti che abbiamo trattato a casa con lo schema della terapia non è deceduto nessuno. La cosa sconvolgente è che tutti i medici, in tutta Italia e con esperienza diverse, che hanno trattato tutti i pazienti con questo schema hanno visto la stessa cosa: un tasso di ospedalizzazione molto basso nei pazienti così seguiti che raggiungeva nelle casistiche peggiori il 5% e mortalità zero. E stiamo parlando di oltre 1500 pazienti, forse più. Ma nessuno ha voluto guardare questi dati.

E’ un dato che rimarrà nascosto e stupisce che Aifa e Ministero della Salute non vogliano vedere. Se noi abbiamo avuto mortalità zero e ricoveri al 5%, ci devono dire cosa è successo di diverso nei malati che sono stati ricoverati in ospedale, che sono andati peggio. Questa è la vera domanda da chiedere.

Questa è una malattia che deve essere trattata in fase precoce e a domicilio ma non dicendo al paziente di prendere qualche pastiglia di tachipirina e vediamo come va. Potrebbe avere un effetto dannoso se prescritta in modo generoso. Ma la cosa più pericolosa di prendere la tachipirina è che si maschera un fenomeno febbrile che, in realtà, è sempre stato un meccanismo di difesa. Con un’influenza normale un adulto in buona salute fino a 38 lo può tollerare senza grossi rischi. Spegnere la febbre vuol dire ridurre le risposte di tipo innato della nostra immunità e favorire la prosecuzione della malattia.

Il Covid è una malattia che ha una pericolosità intrinseca in una fase molto rapida. I pazienti spesso peggiorano alla settima, ottava giornata, non alla quindicesima. Quindi il paziente che comincia ad avere febbre e dopo due tre giorni mantiene un quadro febbrile rilevanti in associazione ad altri sintomi diventa importante decidere di trattarlo subito e questo è quello che abbiamo fatto.

Il problema è che ci è stato detto fin dall’inizio che per questa malattia non c’è nessuna cura: date la Tachipirina e aspettate che il paziente respiri male, questo è stato il primo messaggio. Questo ha fermato i medici di medicina generale dal prendere qualunque decisione. Io posso capire che molti colleghi non abbiano preso iniziative. Ti senti dire tutti i giorni da infettivologi, opinion leader, da Aifa, che non esiste cura, uno a un certo punto pensa di dover dare ragione a un ente regolatore e quindi si adegua al pensiero mainstream.

Ho trattato una paziente di 80 anni con Parkinson e diabete, una paziente che avrei dovuto ricoverare. I famigliari mi hanno chiesto espressamente di non farla ricoverare. Mi sono fatto carico di prendere una paziente ad alto rischio da curare da casa. Ho ordinato l’ossigeno (arrivato subito) e iniziato la terapia. Ha fatto tutta la terapia, compreso il cortisone. Oggi la signora, in tredicesima giornata, ha quasi smesso di prendere l’ossigeno liquido di supporto. La paziente, 80 anni, fragile ad altissimo rischio, è stata trattata a casa ed è di fatto guarita. L’approccio al singolo paziente deve prevedere tutta la storia clinica del paziente, forse è questo che è mancato in ospedale”.