La cosa veramente assurda è che se parliamo con coloro che trovano ridicola l’idea di distruggere il capitalismo, scopriamo che loro, “dotti e moderni”, ragionano con le categorie mentali tipiche del mondo liberale dell’800.
Nel diciannovesimo secolo infatti tutta la creazione del valore era legata alla combinazione di tre fattori: capitale, lavoro e macchine.

Le macchine erano semplice sfruttamento del lavoro e non si pensava ad esse in quanto ore di lavoro dedicato a svilupparle e a pensarle, ma in quanto accumulatrici di capitale, risparmiando sul lavoro.
Alla fine di quel modo di pensare, siamo rimasti col cerino in mano.

Da circa trent’anni il mondo politico si fa gli affari suoi, per questo dovremmo interessarci ora a quello economico.
Va cambiato il modello socio-economico, e va fatto lanciando un messaggio chiaro al resto del mondo: avete rotto le balle con l’economia capitalistica.

Se non facciamo questo, non usciremo dalla logica delle guerre, dello sfruttamento e della competitività, con annesso Spread e borse.

Quando però dico che bisogna distruggere il capitalismo, quasi tutti mi guardano come fossi un pazzo. Sembra che il capitalismo sia una sorta di religione, qualcosa di intoccabile, di sacro.

Il meccanismo mezzi-capitale-lavoro che ha bloccato il ragionamento economico ormai per quasi due secoli è vecchio, obsoleto. E quelli che lo difendono non tutelano qualcosa di moderno, ma una logica bloccata al “grande capitalista” e alle macchine che sostituiscono il lavoratore.
Una visione vetusta. Un meccanismo da scardinare parlando di Economia Umanistica, di valore dell’uomo e della conoscenza dell’uomo.

Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi


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