Serata per cuori forti e per piedi buoni, soprattutto quando i ritmi si abbassano rispetto a quelli non trascendentali dell’inizio. Sorprendono, quasi per un terzo, le scelte di Fonseca: non tanto Pastore quanto Ibanez e Carles Peres. Per i primi dieci minuti è decente il giro palla dei giallorossi, Diawara compreso che appare a suo agio nello smistare di prima la palla, sistematicamente. Fino al malinteso con Ibanez, che genera la terra di nessuno in cui Manolo Gabbiadini insinua lo zero a uno. Diventa farraginosa, la squadra di Fonseca; al tecnico portoghese mancano sempre più vistosamente i solisti attraverso i quali cercare l’episodio: intermittenti e calanti Mkhitaryan e, soprattutto, Pastore. Fine primo tempo: si è presa la scena la consueta frustrazione romanista alla prima contrarietà. 

Dzeko non è un solista, è un leader, a volte silenzioso. Da leader era andato a coprire una zona di campo sempre più lontana dalla porta, per far rinascere la manovra sempre più monocorde. Nel secondo tempo, torna a riempire i venti metri e beneficia di due assist sontuosi da dietro le linee, con i giri contati: volée sontuosa per il pareggio, su imbeccata di Pellegrini; diagonale carezzevole a pelo d’erba per il vantaggio, che sancisce anche una non consueta rimonta. Segnali? È presto, ma l’Atalanta non è ancora fuggita. In una serata di calcio convalescente, la Roma attraverso il suo giocatore più importante tra quelli presenti stasera, riesce a non apparire malata. Nel tabellino finiscono tre preziosi punti; nel bilancio della serata una reazione che sancisce soprattutto una prova caratteriale. Avremo tempo di parlare del gioco e delle scelte.

Paolo Marcacci