La Costituzione rappresentò il più alto punto di incontro tra le culture dominanti dell’epoca, quella cattolica, quella socialista e quella liberale. Un nobile compromesso raggiunto grazie al valore, allo spirito ed alla voglia di gettare solide fondamenta per la rinascita del Paese da parte dei membri eletti alla Costituente.

Il primo articolo inizia illustrando la parola Italia e la definisce in maniera semplice ed esaustiva. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Il termine Repubblica nasce dal referendum del 2 giugno 1946 con il quale l’Italia aveva optato per la forma repubblicana e chiuso definitivamente la stagione monarchica.
Res pubblica”, dal latino “cosa pubblica”, a cui i costituenti aggiunsero il termine democratica, ossia che appartiene al popolo.

Alla parola lavoro non ci si arrivò senza faticare anche perché sul punto le posizioni erano diverse. Socialisti e comunisti premevano per inserire il termine “lavoratori”, mentre le componenti borghesi insistevano per la parola libertà a fondamento delle istituzioni repubblicane. Alla fine prevalse la parola lavoro, comprendendo con tale termine tanto i salariati quanto il capitale.

Tale sintesi era il frutto di un compromesso teso a pacificare un persistente conflitto sociale che il fascismo riuscì a tenere a bada con la dittatura, ma che riesplose subito dopo la liberazione. Il lavoro restituisce al cittadino la dignità e la libertà, ossia la possibilità di vivere e realizzare la propria persona in piena autonomia e di contribuire alla crescita del Paese attraverso il frutto delle proprie fatiche.

Alla Repubblica spetta pertanto, il compito di promuovere e favorire, con atti ufficiali e risorse economiche, l’occupazione e lo sviluppo delle imprese.

L’ultimo capoverso conferma il principio democratico e lo rafforza precisando che la sovranità appartiene al popolo, il quale la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Vale a dire che i veri detentori del potere politico sono i cittadini che lo esercitano attraverso i loro rappresentanti eletti in parlamento (democrazia indiretta) e la sovranità non appartiene più al monarca, allo stato, alla nazione, ma al popolo.

Tale premessa per sconfessare quanto l’opinione pubblica va recitando quasi con automatismo: la salute prima di tutto.

Non per la Costituzione che fonda il nostro Paese sul lavoro. Il lavoro non ha sovraordinati, ma soltanto subordinati. Senza il lavoro un Paese non si costruisce, le economie si deprimono e l’uomo non sopravvive.

Se non hai le provviste per sopravvivere e generare gli strumenti che ti proteggono non sarai mai in grado di fronteggiare gli eventi. Il fatto che il cacciatore preistorico avesse contezza che ogni battuta di caccia avrebbe potuto costargli la vita, quale l’auto pasto di belve feroci, non lo esimeva dal continuare a condurre il proprio periglioso lavoro, con le tutele di cui potesse disporre, per garantirsi la sopravvivenza. La pandemia è una belva feroce.

Ma la fame e la schiavitù, di cui abbiamo quasi perso la memoria, sono peggiori della peggiore pandemia, rendono l’uomo capace di comportamenti bestiali o lo annullano a mero automa, vulnerabile e precario. Ecco perché sono molto preoccupato quando leggo le ultimissime stime del Fondo Monetario Internazionale che vedrebbero balzare il nostro rapporto Debito/Pil dal 134,8% del 2019 al 155,5% nel 2020.

Nel Fiscal Monitor i tecnici dell’Fmi tracciano traiettorie di debito in forte crescita per tutti i paesi, ma purtroppo la nostra situazione era già fuori controllo. Anche la Germania registrerebbe un indebitamento, ma salirebbe nel predetto rapporto debito Pil dal 59,8% del 2019 al 68,7% nel 2020. Se a ciò si aggiunge che la riduzione delle entrate e l’esplosione delle spese creeranno un nuovo buco nei conti pubblici con un deficit che quest’anno potrebbe attestarsi all’8,3% del Pil a fronte dell’1,6% del 2019.

Quando poi sento chiedere ai tecnici di assumere decisioni che spettano alla politica, allora mi deprimo.

Una decisione politica si assume attraverso il bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, quelli tecnici sicuramente, ma la soluzione tecnica per poter essere assunta deve essere sostenibile dal punto di vista economico, sociale, ambientale e deve essere compatibile con il nostro sistema normativo, ma poi vi sono ragioni di opportunità, questioni di natura strategica da valutare.

Ecco perché la sintesi politica non potrà mai essere sostituita da un mero parere tecnico.
Non si può chiedere ad esempio ad un tecnico quando ripartirà il campionato di calcio od il settore della moda, e non stiamo parlando di cose banali perché intorno a quelle economie girano decine di miliardi.

Semmai potrai chiedere al tecnico quali siano le diverse soluzioni praticabili per evitare il contagio allorché all’esito di una valutazione complessiva di tutti gli interessi in campo, chi ha la responsabilità ed il ruolo, ha deciso di ripartire il 1 giugno, o luglio che sia.

Nella prassi mediatica poi, i tecnici assurgono addirittura al ruolo di scienziati. Forse giova precisare che lo scienziato è colui che ha innovato le conoscenze scientifiche con una scoperta tangibile.

Faccio un esempio, io svolgo l’attività di ricerca scientifica nel campo del diritto
amministrativo sull’innovazione tecnologica applicata alla pubblica amministrazione? Si. Da tale attività sono emersi brevetti o prestazioni intellettuali coperte dal diritto d’autore? Si. Allora posso essere chiamato scienziato. Altrimenti sono semplicemente un ricercatore, o un esperto della materia, ovvero un accademico che insegna quell’argomento, oppure un soggetto che ha un ruolo di vertice in quel settore. Tali
figure rientrano nel novero dei tecnici.

Considerate che come il giudice è per legge, giustamente, il perito dei periti, così anche il politico deve sentire tutti, informarsi di tutto e poi decidere autonomamente, non solo perché poi, soltanto sua sarà la responsabilità, ma perché ogni tecnico potrebbe essere portatore di interessi privati, o lobbistici, finanche confligenti con l’interesse pubblico.

Il potere, a norma della Costituzione, spetta esclusivamente al popolo che lo assegna, in sua vece, a coloro che ha eletto e che paga, talvolta profumatamente, … e non a terzi sostituti.

Enrico Michetti