Qualche mese fa, in un giorno qualunque, stanco del modo in cui spesso mi viene proposta la colazione, sono stato improvvisamente colto dall’idea di coniare un nuovo termine, che ben si adattasse allo stile di servizio che mi viene proposto: il malgiorno.

Dalla sosta autostradale a quella in stazione, dai bar centrali a quelli più periferici ma non meno frequentati, sempre più spesso, quando si parla di servizio, “l’abito non fa il monaco”: dietro a grandi progetti di marketing – fatti di luci, colori, belle divise e soprattutto di pagine scritte pregne di filosofie ed ideali volti potenzialmente ad attirare i migliori clienti – il mondo della ristorazione e della somministrazione moderna nasconde troppo di frequente una non-professionalità “intrinseca”.

Mi piace definirla in questo modo perché, se in alcuni casi si tratta palesemente del non aver mai aver avuto l’opportunità di apprendere il fantastico mestiere del servizio e come portarlo avanti con fierezza e orgoglio giornaliero, in tanti altri casi le colpe sono da attribuire a cooperative e aziende di lavoro interinale che mettono in campo manodopera non specializzata (a basso costo) come se si trattasse di un’arena, dove il “toro inferocito” è il cliente e il “torero impaurito” è l’addetto al servizio, che lavora solo nell’ordine della mancanza di tempi e metodi di lavoro. Il tutto in virtù di “numeri” di cassa che devono quadrare.

Eppure pensateci: nel momento in cui al mattino entriamo in un bar caffetteria, è evidente che l’intenzione di ciascuno di noi è proprio quella di pagare per ricevere in cambio un servizio, nell’ottica di ricevere un “buongiorno” concreto e soprattutto differente dalla colazione che avremmo potuto consumare a casa.

Se ancora proverete a chiudere gli occhi e calarvi totalmente nella situazione, ciascuno di voi potrebbe descrivere un ideale ben preciso di servizio al bar. E sapete quale parola ricorrerà più spesso nel descrivere il bar che tutti vorreste? La pulizia. Che non vuole essere solo sinonimo di un pavimento, un bancone e dei tavoli tirati a lucido, ma anche (e soprattutto) del personale che vi lavora all’interno. E per gli addetti al bar e al servizio, per un cliente l’igiene si evince da tante cose: da quella intima personale allo stato della propria divisa da lavoro, ma anche da tanti piccoli gesti e modi di fare, la cui importanza può persino passare in primo piano sul resto.

Non di meno, il secondo parametro di giudizio sarà il gradimento del prodotto offerto: dal caffè ai cornetti, fino a centrifughe e panini, è innegabile che ciascuno abbia individuato nel tempo i propri bar di fiducia, rappresentati da un giusto rapporto qualità-prezzo ma anche da un’atmosfera specifica che ci invita ogni volta a ritornare.

Ma tornando adesso al titolo di questo articolo… cos’è dunque un “malgiorno”? Malgiorno è accomodarsi al tavolo o al bancone e trovarli pieni di briciole e tovagliolini accartocciati. E’ vedersi porgere un bicchiere con le dita che ne sfiorano il bordo. E’ dover stare in fila ad una cassa ad attendere che chi sta facendo una centrifuga di frutta abbia tempo di raggiungerti (soprattutto nei grandi bar autostradali, ferroviari e aeroportuali) con assoluta noncuranza della preziosità del tempo del cliente, pensando solo ed esclusivamente al risparmio imprenditoriale, ovvero quello sui costi del personale.

Il malgiorno è quello che ti danno i dipendenti di un bar che non si preoccupano minimamente di non passarti davanti con sacchi pieni di spazzatura mentre stai consumando qualcosa nel locale. O addirittura, che sbarazzano accanto a te i tavoli gettando tutto in un’unica bacinella (bicchieri, posate, piatti e spazzatura) senza alcuna cura. E’ la totale indifferenza generata dal far rumore continuo urtando piatti, tazze e posate per sistemarli nel cestello della lavastoviglie, mentre poi al tempo stesso la medesima persona deve correre al servizio cassa o servire un cappuccino al tavolo.

Ma “malgiorno” vuol dire anche acquistare una “spremuta fresca di arance” ed essere costretti a pagarla a caro prezzo per sorseggiarla a temperatura ambiente in bicchieri bollenti appena usciti dalla macchina lavabicchieri (attenzione però, ve l’hanno spremuta davanti agli occhi ed era solo quello l’importante, a livello di marketing). O ancora aver voglia di una centrifuga, ma farsela passare alla sola vista di tristi trionfi di frutta e verdura, spesso vecchie e quasi abbandonate all’interno della loro area espositiva: e capita di scorgerle persino non lavate (ebbene sì, anche in quei luoghi che la prendono dal banco e la tagliano e preparano davanti agli occhi del cliente).

Malgiorno è quando un bar caffetteria sceglie un fornitore di qualità di prodotti lievitati surgelati e non effettua prove né studia il forno in proprio possesso per decongelarli al meglio, riempiendo la vetrina ogni mattina con cornetti e danesi completamente rinsecchiti (e nei casi più gravi persino anneriti). Oggi, sempre più spesso, le industrie garantiscono inoltre referenze molto migliori e digeribili rispetto agli “artigiani”, entrati in crisi proprio a causa della volontà di emulazione dell’industria, che li ha visti iniziare ad utilizzare anche per piccole produzioni farine premiscelate e altre alchimie chimiche per dar luogo a “magie del lievito” più rapide da preparare e a prezzi inferiori. Qualsiasi scelta imprenditoriale si applichi sull’offerta gastronomica, comunque, è bene ricordare che nella ristorazione e somministrazione professionale la famigerata temperatura di 180°C, che a casa sembra buona per tutto, all’interno di un esercizio commerciale non lo sarà ugualmente.

Questo mio pensiero sul “malgiorno” non vuole porsi come critica fine a se stessa. Ci sono dentro in prima persona da quando avevo 14 anni, e so bene quanto sia arduo il lavoro nel mondo della ristorazione, a livello sia fisico che psicologico. La prima difficoltà sta proprio nella forza di volontà di portare avanti il proprio lavoro ogni giorno con costanza come fosse uno spettacolo teatrale: una volta ben studiato e collaudato, dovrebbe essere mandato in scena sempre alla stessa maniera, in modo che i clienti che si accomodano al tavolo possano davvero affezionarsi, perché certi di cosa e come lo riceveranno.  Facciamo tesoro di ogni giorno, dunque, per far crescere in qualità di servizio la nostra attività commerciale, e il “buongiorno” che riceveranno i clienti allora sì, si rifletterà anche sugli introiti ma soprattutto sulla propria soddisfazione professionale.

A cura di Fabio Campoli

Fonte: Prodigus.it