La crisi economica che accompagna l’emergenza sanitaria sta mettendo in ginocchio tanti settori. Tra questi, non si può rimanere indifferenti rispetto alle conseguenze che rischiano di subire i mezzi di comunicazione e delle emittenti in particolare.

Con l’obbligo di fermarsi, fatta eccezione per chi ha uno stipendio garantito, tutti i fatturati sono scesi, il commercio si è fermato e i mezzi di comunicazione non hanno alcun tipo di protezione. Non tutti i mezzi di comunicazione naturalmente, ma quelli indipendenti, liberi, fortemente legati al territorio. Si parla di aziende che devono continuare a rimanere ‘accese’, a rimanere vive, ma che non possono accedere a nessuna delle iniziative poste in essere dal Governo.

Il destino è quello di chiudere, ma un modo per salvare queste aziende esiste. Ecco la proposta presentata in diretta a ‘Un giorno speciale’ da Fabio Duranti e da Massimo Lualdi, Avvocato Consultmedia e Direttore Newslinet.it (ecco l’articolo con la proposta pubblicato su newslinet.it).

Insieme a Francesco Vergovich, ecco i dettagli della proposta da fare al Governo per permettere alle emittenti libere nel territorio di continuare a lavorare e di garantire quel servizio irrinunciabile che è quello della comunicazione.

COVID-19 E CRISI EMITTENTI ► La proposta per salvare lavoratori e informazione libera che fa risparmiare lo Stato

“Questa proposta – spiega l’Avv. Lualdi – io l’ho definita l’uovo di Colombo. Si parte da un presupposto molto logico: le emittenti, come tutte le imprese, potrebbero teoricamente accedere in questa fase alla cassa integrazione. In realtà non possono farlo, perché dovendo svolgere il ruolo di informazione si trovano nel paradosso di non poter accedere a questa forma di sostegno che lo Stato mette a disposizione. Chi vi dovesse accedere dovrebbe chiudere o ridurre la propria capacità comunicativa venendo meno a proprio ruolo primario.

L’idea, semplice, lineare e che va anche a vantaggio dello Stato, è quella di dire: lo Stato si fa carico di pagare il 50% dei costi relativi al personale dipendente, giornalisti, tecnici e di tutta la filiera produttiva del prodotto editoriale.

Da una parte dà la possibilità alle emittenti di respirare un po’ e compensare in parte gli introiti pubblicitari, dall’altra costituisce un sacrificio estremamente limitato per lo Stato rispetto alla cassa integrazione che dovrebbe coprire l’80%”.


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