Dicembre, quello del 2019, non quello di chissà quanti anni fa. Eppure, tanti anni e non due mesi sembrano trascorsi da quando Lorenzo Pellegrini, che stava discutendo il rinnovo del suo contratto e l’annullamento della famosa clausola, era ritenuto “l’unico vero incedibile”, perché così si diceva e si titolava, della Roma. Una Roma della quale era stato già designato come leader presente e di conseguenza futuro; inserito di diritto (ma anche un po’ per forza) in quel solco ideale scavato in precedenza dalle epoche di Totti e De Rossi.

Impossibilitato a giocare solamente per il presente; obbligato al confronto nei momenti positivi (pochi e fugaci) e soprattutto in quelli negativi; risucchiato nel gorgo dell’impoverimento tecnico complessivo e più di altri responsabilizzato, in virtù o a causa, fate voi, dell’appartenenza.

Gioverebbe ricordare che non tutti i suoi colleghi avrebbero reiteratamente giocato intere partite convivendo con un dolore piuttosto pregiudicante, o certi sacrifici tattici messi in atto anche per aiutare Fonseca a far quadrare il cerchio di una linea mediana costantemente falcidiata dagli infortuni.

Il momento che sta attraversando, per quanto riguarda la soglia prestazionale, è sotto gli occhi di tutti. Viene automatico pensare che non stia aiutando la Roma, come ci si aspetterebbe da uno che viene già annoverato tra i leader; molto poco ci si sofferma a riflettere su quanto la Roma, in campo, stia aiutando lui. La conseguenza è che, tra le croci che si gettano addosso ai singoli, la sua sia ora sempre la prima per distacco, essendo nel frattempo venuto a mancare Florenzi come (altro) capro espiatorio.

I fischi di ieri sera sono un dato contingente, ma anche fugace; molto più persistenti sono i giudizi che si leggono, sui vari quotidiani e soprattutto sulla moltitudine di siti che si occupano della Roma.

Il paradosso è che, ogni volta che sbaglia un appoggio, come a Bergamo in occasione del vantaggio dell’Atalanta, o che gioca un pallone in maniera scolastica, non si giudicano mai il gesto tecnico o la prestazione per quello che valgono (in questo momento valgono una serie di cinque in pagella, sia chiaro), ma si abbatte su di lui la mannaia della serie di considerazioni aggiuntive, comportamentali, quasi psicanalitiche: tutta roba molto periferica rispetto al mero dato tecnico.

Se è vero che va considerato un futuribile “Figlio di Roma, capitano e bandiera”, in un momento come questo, in cui è tutt’altro che magnifico, per quello che fa vedere in campo, al pari di quasi tutta la Roma, ci si ricordi di rispettarlo in quanto Lorenzo.

È in casi come questo, per concludere, che viene il sospetto che il famigerato “ambiente” esista davvero.

Paolo Marcacci


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