Mentre in Europa si canta “Bella Ciao” e ci si spella le mani per applaudire “Santa Carola”, in Italia l’Inquisizione ha già individuato il suo eretico da giustiziare. 

L’indirizzo appare chiaro, in via accademica, un’imbarcazione battente bandiera straniera con un carico di clandestini ed irregolari, nonostante il diniego dell’autorità, può irrompere sul territorio nazionale ed ormeggiarsi in porto italiano finanche “sbatacchiando”, con tanto di equipaggio a bordo, il natante istituzionale legittimante ancorato al molo. 

Allora vi è da chiedersi se esista effettivamente una Autorità tenuto conto che per quella che non avrebbe autorizzato lo sbarco si chiesero 15 anni di galera? 

Signori, l’Autorità effettivamente esiste ma non è quella di governo. 

La democrazia secondo l’archetipo (costruzione) costituzionale si fonda sull’equilibrio tra i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Nessuno dovrebbe sopravanzare l’altro.

Invece cosa accade che la manifesta inconsistenza dell’attuale politica fa si che le leggi oggi non partoriscano più in parlamento (organo legislativo) ma vengano ideate e promosse dal governo (organo esecutivo) il quale attraverso una decretazione alluvionale si sostituisce al parlamento a cui resta un mero ruolo di ratificatore dei provvedimenti governativi che a colpi di fiducia (in sede di conversione) diventano legge dello stato. 

Ma chi è il Governo? E chi prende le decisioni effettivamente? 

Il noviziato di gran parte dei ministri impone che questi si facciano fortemente ausiliare (ad esser buoni) se non sostituire nella stesura dei provvedimenti dai loro più stretti “collaboratori”. 

E chi sono costoro? 

Sono il capo di gabinetto, il capo del legislativo ed i loro vice, ed altri ancora … che nella quasi totalità dei casi vengono individuati tra i magistrati.

E perché vengono scelti prevalentemente all’interno dell’Ordine magistratuale?

In primo luogo perché il politico nella vulgata attuale più è incompetente ed inesperto e più è considerato valido, e quindi ha un maledetto bisogno di essere opportunamente badato. Ma soprattutto perché tacitamente la politica di infimo profilo (e non la magistratura) ritiene che avere dei magistrati al vertice amministrativo del dicastero possa costituire uno sorta di scudo dinanzi alla potenziale “aggressione” del giudice penale. 

Ma allora se il ministro di fatto lascia il compito di scrivere le norme ai magistrati, chi guida la macchina amministrativa? Il politico o il magistrato? 

Il magistrato, mi sembra chiaro. 

E se poi queste norme vengono soltanto ratificate in parlamento, chi legifera? 

Indirettamente il magistrato.

Con riguardo infine al potere giudiziario, invece, non vi sono dubbi. 

Ad amministrare la giustizia ci pensa soltanto la magistratura.

Ricapitolando quindi, se a scrivere le norme ci deve pensare la magistratura, suo malgrado, e se il parlamento nella maggior parte dei casi è deputato soltanto a prendere atto di provvedimenti preconfezionati a cui offrire il crisma e la forza di legge, e se poi infine ad interpretare le norme sono sempre i magistrati, appare chiaro che il Paese sia attualmente interamente amministrato non dagli eletti ma per gran parte da un Ordine (quello magistratuale). 

A ciò si è chiaramente giunti, per tre ragioni: 

1) la mancanza di una scuola di formazione politica (che tutti i vecchi partiti avevano); 

2) la mancanza di una selezione qualitativa della classe dirigente (da cui i partiti si sono allontanati per privilegiare i capobastone capaci di raccogliere clientelarmente un ingente quantitativo di voti); 

3) l’assenza di un cursus onorum, ossia prima il politico partiva dal municipio e se avesse dimostrato capacità sarebbe approdato in provincia poi eventualmente in regione, e soltanto dopo sarebbe potuto entrare in Parlamento, a cui comunque avrebbe acceduto con almeno vent’anni di preparazione ed esperienza alle spalle. 

L’Ordine magistratuale sta quindi, supplendo alle carenze organiche e strutturali dell’attuale classe dirigente politica.

Ma affidare, di fatto, al solo organo repressivo il destino di un Paese potrebbe trasformare il Paese stesso in uno stato di polizia. 

In Iran, dove esiste un solo Ordine (quello religioso) che, ormai in maniera pressoché irreversibile, pervade ogni ambito della vita nazionale, si vede chiaramente come l’esistenza umana sia diventata spesso monocolore ed illiberale.

Faccio un esempio banale sul differente modo di operare e ragionare tra le diverse categorie: 

a) se un magistrato scrivesse una norma sulle mancate entrate di uno stato scriverebbe probabilmente: norme per il contrasto all’evasione (accentuando il fenomeno criminale);

b) se la stessa norma la scrivesse la politica (quella che oggi per lo più non c’è) scriverebbe: norme per il reperimento delle risorse necessarie al sostentamento della spesa pubblica, ovvero norme di riqualificazione dei sistemi di approvvigionamento dello stato. 

La repressione, e gli uomini deputati a provvedervi, in buona sostanza dovrebbero essere utilizzati con riguardo non a tutti gli aspetti della vita umana, ma soltanto in alcuni casi tassativamente previsti dalla legge, e quando qualsivoglia altro rimedio si sia rivelato vano. 

Sostituire la carenza di cultura, di formazione, di crescita, di emancipazione … con la minaccia delle manette … può essere utile in alcuni casi, incancreniti e cronici, ma non risolve il problema, anzi lo accentua, a meno che non torni ad essere valorizzata la “capoccia umana”, che, forse stupirà qualcuno, ma non serve soltanto a separare le orecchie.

Enrico Michetti