Del derby è meglio non parlare ancora, anche perché non si saprebbe, come di consueto, cosa dire. L’unica certezza, valida fino al fischio d’inizio, è quella che hanno già ratificato i bookmakers con le loro quote: Lazio mai favorita quanto stavolta, negli ultimi anni, con tutte le cabale e gli scongiuri che ciò si porta appresso, nei vari angoli della città.

Ma torniamo alla serata di domenica scorsa, ai suoi strascichi sul fronte romanista: non c’è stato nulla di subliminale, nei contenuti della gara contro il Genoa; tutto è stato estremamente chiaro, evidente, manifesto, per quanto riguarda entrambe le facce della prestazione della squadra di Fonseca.

Scegliamo la lettera i, in questo caso come iniziale con duplice valenza, per dire della condizione della Roma attuale, quella che oggi lavora a Trigoria, al netto degli sviluppi di mercato.

I come identità: si è vista, nitidamente, in ogni dispiegamento offensivo degli uomini di Paulo Fonseca; abbiamo riconosciuto una filosofia, un copione interpretato in maniera già più che embrionale, un’attitudine al mantenimento del pallino del gioco e della conduzione del match, anche per limitare i rischi della seconda i: i come incertezza, in tante, troppe fasi del match quando ad avere il pallone erano Schöne e compagni.

Vanno fatte, un poco più a freddo, riflessioni al netto degli errori individuali che ci avevano colpito in tempo reale: la Roma non soffre solo in difesa, soffre nel posizionamento difensivo, che inizia molti metri più avanti e chiama in causa in primis i centrocampisti.

Questi discorsi, così analitici, li faremmo anche se il match fosse finito, e poteva benissimo essere, quattro o cinque a tre per la Roma. C’è anche questo paradosso, in effetti: ci sono stati momenti trascinanti, durante le fasi d’attacco di Dzeko e compagni, che hanno a tratti infiammato l’Olimpico. Altalena di identità e incertezza, come dicevamo.

Allora la guida tecnica ha già dato qualcosa a questa squadra e ci piacerebbe vederla con meccanismi più oliati e con l’innalzamento, almeno nel pacchetto arretrato, del livello medio degli interpreti.

Per tutti questi motivi, al netto di delusioni e perplessità contingenti, con la grande incognita di un derby che arriva (per tutti) troppo presto, diciamo oggi: non buttate il bambino con l’acqua sporca. Il bambino, per chi non lo avesse capito, ha il ciuffo e parla portoghese, ma capisce bene l’italiano.

Paolo Marcacci


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