Un movimento strisciante e pervasivo per anni ha stimolato le coscienze verso un sentimento rivoltoso nei confronti delle istituzioni, della tradizione italica, della nostra seppur breve storia risorgimentale, di quella ancor più profonda, radicata nei fasti della Roma dei Cesari, della sua classicità, della forza della sua Lex (Legge), della sua ingegneria, della sua diplomazia, delle sue legioni, della sua filosofia amministrativa.

L’Italia piccola e frammentata, dei comuni e delle signorie, ma dalle menti geniali di Dante, di Leonardo, di Michelangelo, ma anche di Machiavelli e Giordano Bruno… Viveva già allora una crisi istituzionale profonda.

Quell’Italia ebbe un sussulto con Cavour che la progettò, con Verdi che la cantò, con Garibaldi che la unì, con Gramsci e Croce che la pensarono, con i re ed i vari Depretis, Giolitti e Mussolini che tentarono di strutturarla, e poi con De Gasperi, Nenni e Togliatti che la cementarono.

Quell’Italia, per cui milioni di Italiani hanno dato la propria vita al fronte e per la liberazione del suolo patrio, doveva essere dimenticata!

La tanto vituperata prima Repubblica che aveva ricostruito il Paese dalle macerie della seconda guerra mondiale, che aveva creato le condizioni per una vita dignitosa, che aveva creato occupazione, sviluppo e pace, che in un mare di soli dialetti aveva omogenizzato la lingua italiana, che aveva portato acqua, luce, gas ed igiene pubblica in tutte le case, che aveva costruito migliaia di scuole ed offerto la possibilità a tutti, non della licenza elementare, ma della laurea, che aveva costruito strade, ponti, viadotti, industrie, ed era all’apice dell’innovazione tecnologica mondiale dai computer all’energia nucleare, che aveva riconosciuto diritti, forse troppi ed insostenibili, e che a Sigonella aveva dimostrato di essere Nazione.

Riforme epocali e strutture strategiche che soltanto a pensarle oggi farebbero venire i brividi.

Quell’Italia operativa e concreta, per carità con le sue sbavature e criticità, andava cancellata sotto una palata di fango, espropriata di ogni suo avere una volta svilita la sua reputazione.

E visto che si trattava di tutti beni della Repubblica per poter accaparrarsi quel patrimonio collettivo ingente e qualitativo occorreva prima distruggere la Repubblica, le sue Istituzioni, la sua Immagine, i suoi Uomini, per poi, esaurito il compito dell’artiglieria, far transitare la gestione delle opere pubbliche, delle aziende pubbliche, dei brevetti e delle prestazioni intellettuali (su cui lo Stato aveva investito enormi ricchezze) nelle fervide e rapaci mani private.

La concessione al privato divenne l’asse portante della dismissione del patrimonio pubblico, che peraltro, se non concesso a saldo e stralcio, veniva prima artatamente liquidato e quindi svenduto.

La vecchia classe dirigente fu sventrata nelle aule di giustizia.

Con il pretesto di acciuffare i soliti manigoldi, di cui se ne è sempre e costantemente rivelata la presenza non meno negli anni di poi, una volta messi in salvo i congiurati, si è aperto un fuoco di fila su tutta la struttura politica dell’epoca, con l’ordine tassativo di annientarla, perché generalmente ostile al progetto di colonizzazione finanziaria ed omogenizzazione dei mercati in un’economia irreale.

L’uomo, fiaccata ogni resistenza, doveva essere ridotto a mero consumatore globale.

Andava rimossa ogni filosofia politica contraria, esaltando al contempo, la mediocrità.

Nella nuova semantica desertificatrice e culla del governabilissimo consumatore beota, la preparazione è contaminazione, la competenza è corruzione, l’esperienza è inutile, e l’orgoglio di sentirsi italiani è sovranismo, se non fascismo.

Alla Costituzione, a cui resto fedele, rispondeva il Codice dell’AntiPatria.

Pertanto, cancellata la Prima Repubblica che quella Costituzione aveva pur varato, prese le mosse una giaculatoria non scritta, una sorta di consuetudine, oppressiva ed avvolgente, quella del pensiero omologato.

Sigonella e la Sea Watch evidenziano in maniera emblematica da dove siamo partiti e dove siamo arrivati.

1984 (quando si parla di quelli di ieri), a Sigonella uno Stato sovrano ricacciò in volo la Delta Forze, opliti armati sino ai denti, truppe selezionate in assetto di guerra, guidati dal più duro presidente USA degli ultimi 70 anni. Allora Carabinieri ed avieri rappresentarono degnamente la forza dell’Autorità dello Stato;

2019, a Lampedusa confini violati, agenti della guardia di finanza travolti, motovedetta di Stato speronata ed imbarcazione straniera perfettamente ormeggiata a porto chiuso.

Di fatto nel 1984 i Nostri fermarono la più grande armata del pianeta, mentre nel 2019 i Nostri non riescono a fermare un peschereccio.

Dal 1984 ad oggi è cambiata l’Italia. La forza dell’Autorità, che dovrebbe contrastare la violenza di chi viola la legge, non esiste più.

O meglio lo Stato… A seguito di questa campagna mediatica (e di una certa politica trasversale, speculativa e congiurata) di costante criminalizzazione delle istituzioni, di negazione del concetto di Patria, di riduzione del cittadino italiano ad automa globale, di azzeramento dei valori e della storia di una civiltà … Non è più in grado di reagire alla violenza, perché espropriato della sua forza.

La lotta alla corruzione divenne la giustificazione di una vera e propria epurazione.

Come si fa ad attribuire forza all’Autorità quando la si ritiene pregiudizialmente corrotta?

In questo clima di costante mistificazione, in cui il bene si confonde con il male, l’uso legittimo della forza da parte dell’Autorità, per contrastare l’azione criminale, oggi, viene visto, sempre di più, come intollerabile violenza.

La motovedetta della Guardia di Finanza forse si sarebbe fatta finanche affondare, ma non avrebbe mai reagito, perché se lo avesse fatto, nel pieno rispetto delle norme, sarebbe stata comunque, criminalizzata.

Pertanto, probabilmente ha preferito mortificare la propria dignità e quella del Paese, piuttosto che subire un processo, ancor prima mediatico, che dinanzi all’onorata giustizia.

Ecco che ieri due giovani che si sentivano pronti ad arruolarsi nelle Forze dell’Ordine, mi dicevano, ferendomi mortalmente, che avevano cambiato idea, perché ormai la forza dello Stato e’ ridicola se non riesce neanche a fermare un ‘peschereccio fuorilegge’.

Mi dicevano che i migranti, poveri disgraziati, non centravano nulla, erano soltanto dei poveri ostaggi di un agente provocatore con una precisa missione illegale da compiere.

Effettivamente dentro di me pensavo, che mentre la capitana speronava la guardia di finanza e portava a termine la sua missione assalto, tra gli ostaggi c’erano anche dei parlamentari, membri delle istituzioni. Ostaggi consenzienti (di Stato), o forse sarebbe più corretto definirli complici?

Uno dei ragazzi mi ha anche detto, ma se al posto dell’inutile motovedetta della Guardia di Finanza, ci fossero andati quattro ceffi dei quartieri più degradati di Napoli o di Palermo, la Sea Watch avrebbe certamente attraccato, ma in Somalia.

Mi si è gelato il sangue, nel sentire giovani di 20 anni, di buona cultura, cittadini per bene, generosi, pronti a servire la patria, tornare indietro nelle proprie aspirazioni dinanzi all’assenza dello Stato e pronunciare quelle pericolose deduzioni.

Che guaio!

Sentire i giovani che dinanzi al sopruso, alla violenza ed alla decapitazione del legittimo argine rappresentato dallo Stato, sarebbero pronti a legittimare chiunque, persino un’Autorità criminale, pur di porre un freno all’arroganza, all’ipocrisia ed alla violenza umanitaria.

Roba da far cadere le braccia.

Così nasce la Mafia!

Ho detto loro che la forza del criminale è sempre un atto di violenza, perché, anche ciò che potrebbe apparire benevolo, sarebbe sempre strumentale al raggiungimento di finalità criminali.

Ci ho parlato a lungo con quei ragazzi ed alla fine, non si arruoleranno più nelle Forze dell’Ordine, ritenendole ormai degradate al ruolo di impotenti vittime sacrificali, ma si iscriveranno a giurisprudenza ed inizieranno prima a studiare la politica, poi a praticarla e dopo, soltanto se ne saranno all’altezza, si proporranno in prima persona per cercare di restituire alla Patria la dignità che merita.

Enrico Michetti