L’annuncio è di poche ore fa: Theresa May, primo ministro inglese, si dimette. Nuove modifiche al piano Brexit hanno scatenato la rivolta all’interno del governo. Tensioni che all’indomani delle dimissioni di Andrea Leadsom, la responsabile dei rapporti con il Parlamento, facevano già presagire una radicale presa di posizione da parte di Theresa May. Ma che cos’è la Brexit? A che punto siamo? Chi sostituirà il ministro dimissionario?

Cos’è e cosa significa Brexit

La parola Brexit nasce dall’unione tra la parola Britain, che abbrevia l’espressione Great Britan, ovvero Gran Bretagna, insieme alla parola exit, uscita. Letteralmente assume il significato di “uscita della Gran Bretagna”, e indica appunto l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La differenza tra Gran Bretagna e Regno Unito è che la prima espressione si riferisce all’isola, con valenza geografica, la seconda invece è la denominazione politica, che include anche l’Irlanda del Nord. Il nome Brexit segue la già coniata espressione Grexit, utilizzata per la prima volta per descrivere una possibile uscita della Grecia dall’Unione quando, a causa del pesante debito, si rischiava il crollo del paese. Il patrocinio di entrambi i termini si deve alla narrazione giornalistica, è dall’uso di Grexit, e Brexit in particolar modo, sui media che è seguita la coniazione delle due parole.

Le premesse del leave

Sin dal secondo dopoguerra, quando si manifestò per la prima volta l’esigenza di creare una stabilità politica ed economica nel continente europeo, il Regno Unito si mostrò incerto. Nonostante l’adesione alle CEE – Comunità Economica Europea nel 1973, l’idea che un rapporto con altri Stati potesse influire anche sulle politiche interne del paese non convinceva il Regno Unito. Nonostante l’alternarsi dei governi più o meno conservatori, e la firma del trattato di Maastricht nel 1992, cioè il patto costitutivo dell’UE, l’ideologia antieuropeista ha sempre mantenuto una certa solidità all’interno del paese.

Cos’ha fatto David Cameron

Nel gennaio 2013, l’allora primo ministro David Cameron promise che se il suo partito avesse ottenuto la maggioranza alle elezioni del 2015, il (suo) governo avrebbe negoziato con l’Unione Europea una serie di riforme e avrebbe indetto un referendum che potesse permettere direttamente al popolo di esprimersi sui rapporti da intrattenere con l’Unione. Promessa ribadita durante la campagna elettorale del 2015.

Forte sostenitore del remain, nel 2016, con il Partito Conservatore di nuovo al potere, David Cameron mise in atto la sua trattativa con Bruxelles. Lo scopo era quello di “tutelare” il paese su 4 punti chiave: moneta, competitività sul mercato, sovranità e immigrazione. Discutere le condizioni e assecondarle era, per il primo ministro, l’unico modo per avvicinare il popolo britannico al remain e scansare definitivamente l’ipotesi Brexit.

Il referendum della Brexit

Should the United Kingdom remain a member of the European Union or leave the European Union? – Il quesito referendario

Come promesso, il 26 giugno 2016 la nazione si mobilita per il voto. Chiamato a scegliere tra lasciare l’Unione Europea e rimanere, il popolo britannico si esprime con un 51,9% di favorevoli a uscire dall’Unione, contro un 48,1% di favorevoli a rimanerci. Il referendum è soltanto consultivo, non vincolante, ma David Cameron annuncia le sue dimissioni.

Theresa May dal referendum del 2016 alle europee 2019

Vincendo le primarie, Theresa May è chiamata a sostituire David Cameron e diventa il nuovo primo ministro britannico. Anche la May è schierata sulla politica del remain ma, portando avanti il motto “Brexit means Brexit” mostra comunque di voler rimanere fedele al risultato della votazione e promette di trovare un accordo.

Siamo a marzo del 2017, Theresa May consegna al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk la richiesta ufficiale di attivazione dell’articolo 50. Si tratta della cosiddetta Clausola di Recesso del trattato sull’Unione Europea che prevede il recesso volontario e unilaterale di un paese dall’UE. Iniziano le trattative per un accordo che definisca le modalità di recesso. Ci sono due anni di tempo per trovare una soluzione.

Inizia una dura lotta interna al governo britannico. Le proposte di accordo vengono considerate troppo “soft” dai membri più euroscettici. l ministro degli Esteri, Boris Johnson, il ministro per la Brexit, David Davis, e non molto tempo dopo il suo sostituto, Dominic Rabb, si dimettono. Aumenta l’ostilità nei confronti di Theresa May e vengono presentate oltre 50 lettere di sfiducia.

Marzo 2019, l’ultima delle proposte di accordo con l’UE viene bocciata dalla Camera dei Comuni del Parlamento britannico. Viene chiesto un rinvio della data di uscita dall’Unione, dal 29 marzo al 31 ottobre. Posticipo che fa sì che il Regno Unito partecipi di diritto alle elezioni europee del 26 maggio.

Perché Theresa May si è dimessa

Il nuovo piano presentato nei giorni scorsi dal primo ministro inglese prevede, tra le proposte, la possibilità di un nuovo referendum se chiesto a maggioranza dal Parlamento. Proposta che non è piaciuta al partito dei Conservatori.

Una parte del partito chiede il voto di sfiducia straordinario così da sostituirla sia come leader del partito che come primo ministro. La richiesta non viene accettata, ma Theresa May, di fatto, non ha più alcun supporto.

Arrivano le dimissioni: l’annuncio, in lacrime, questa mattina. Il secondo primo ministro donna dopo Margaret Thatcher si dimetterà il prossimo 7 giugno.

Chi sarà il prossimo primo ministro britannico

Non saranno i cittadini a scegliere il loro primo ministro, è il partito al governo a scegliere il leader che ricoprirà la carica. Il favorito tra i possibili sostituti di Theresa Mya, l’ex ministro degli Esteri Boris Johnson. In lista anche l’ex ministro della Brexit Dominic Raab e l’attuale ministro della Brexit James Cleverly.