Si scrive Quentin Tarantino, si legge “Once upon a time in Hollywood” in queste ore. Il lungometraggio (ispirato all’omicidio di Sharon Tate per mano della famiglia Manson), presentato ieri al Festival di Cannes, è stato reso ancora più suggestivo ed enigmatico dallo stesso regista, che ha espressamente chiesto, a chi ha visto l’anteprima, di non rivelare nulla della trama.

Ma, al di là della politica ‘no spoiler’ e di quell’alone di mistero che ha attratto ancora di più i fan tarantiniani, in attesa per ore per veder sfilare sulla Croisette Leonardo Di Caprio, Brad Pitt e gli altri protagonisti di “Once upon a time in Hollywood”, l’intreccio narrativo è già cosa nota. O meglio, lo è la storia dalla quale è tratto il film, la stessa che ha visto, 50 anni fa, consumarsi uno degli episodi di cronaca nera più sconvolgenti del secolo scorso: l’assassinio di Sharon Tate.

Ma chi era la giovane che, incinta di otto mesi e mezzo, perse la vita la notte tra l’8 e il 9 agosto 1969? E chi fu il mandante degli efferati omicidi che sconvolsero l’opinione pubblica del paese a stelle e strisce?

Chi era Sharon Tate

Sharon Tate era un’attrice statunitense che, negli anni 60, passò prima dal piccolo schermo per poi dedicarsi all’arte cinematografica. Tra i suoi ruoli più noti nel mondo del grande schermo, quelli in “Cerimonia con delitto” e “La valle della bambole”.

La relazione tra lei e Roman Polanski, il maestro del cinema che l’ha diretta nel film “Per favore non mordermi sul collo“, attirò i media, tanto da diventare oggetto di articoli su giornali e riviste dell’epoca. I due convolarono a nozze nel 1967 a Londra e, poco dopo, la Tate iniziò le riprese della commedia “Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm”. Alla fine dell’anno, la carriera della giovane attrice stava per toccare il suo punto più alto, grazie all’ottenimento di un Golden Globe per l’interpretazione in “La valle delle bambole”.

All’epoca la Tate era incinta e, nel 1969, si trasferì insieme al marito a Londra, nella villa di Cielo Drive, dove sognavano di formare la loro famiglia. A sancire la sua ultima apparizione sullo schermo prima della morte, il film con Vittorio Gassmann, “Una su 13”.

Siamo al 20 luglio 1969 e Sharon Tate è a Los Angeles, in attesa di Polanski, rimasto a Londra per motivi di lavoro. La coppia aveva concordato che il regista l’avrebbe raggiunta il 12 agosto, in tempo per il parto.

Charles Manson, la Family e gli omicidi a Los Angeles

La notte dell’8 agosto la Tate si trovava a casa in compagnia una coppia di amici in comune con Polanski, Wojciech Frykowski e Abigail Folger, più Jay Sebring, amico anche lui dell’attrice e famoso parrucchiere di Hollywood. L’orologio ticchettava le 22:30 e Sharon Tate era inconsapevole del fatto che, di lì a poco meno di due ore, avrebbe perso la vita.

Verso la mezzanotte, quattro seguaci della Family, la setta messa in piedi da Charles Manson, mandante dell’omocidio e trentaduenne originario di Cincinnati con alle spalle qualche anno di carcere per furto e sfruttamento della prostituzione, fecero irruzione nella casa della zona nord di Beverly Hills. Dalle indagini è emerso che il primo ad essere assassinato fu Sebring con un colpo di pistola e alcune coltellate. Poi toccò alla coppia Folger-Frykowski, verso i quali i killer adottarono le stesse modalità, dopo attimi di ribellione da parte dei due fidanzati.

La morte di Sharon Tate e il caso LaBianca

L’ultima a morire fu proprio Sharon Tate, picchiata a sangue e torturata con il filo di nylon. Il suo corpo fu martoriato dalle coltellate ricevute. Prima di lasciare la casa, uno dei killer scrisse sulla porta d’ingresso la parola ‘pig‘, utilizzando un asciugamano intriso del sangue della giovane attrice ventiseienne. Sullo specchio del bagno, un’altra scritta, ‘Helter Skelter’, il titolo di una canzone dei Beatles cara a Manson, che vedeva in quel brano un messaggio in codice rivolto al gruppo.

Ma Sharon Tate e i suoi amici non furono le uniche vittime nel mirino di Charles Manson e del gruppo di ragazzi che l’uomo aveva attirato a sé con il suo carisma, le sue canzoni e la sua conoscenza dell’esoterismo. Tra i reati compiuti dalla Family c’è l’assassinio, compiuto la notte seguente ai fatti di 10050 Cielo Drive, dell’imprenditore Leno LaBianca e di sua moglie Rosemary nella loro villa di Los Angeles. Il motivo non è chiaro.

I corpi senza vita della Tate e delle persone alla villa furono ritrovati dalla governante della villa la mattina del 9 agosto.

Le indagini

I due delitti di cui si macchiarono i membri della ‘Family’ non furono inizialmente collegati tra loro dalla polizia di Los Angeles. I messaggi scritti con il sangue fornirono una pista utile agli investigatori per indirizzare le indagini. Grazie alle rivelazioni ai suoi compagni di cella di uno dei membri della ‘Family’, arrestati ad ottobre insieme a Manson per alcuni furti d’auto, si ebbe il punto di svolta. Il primo dicembre la polizia annunciò l’arresto di altri tre membri della setta di Manson, accusati degli omicidi in casa dei coniugi Polanski, Tex Watson, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian. Dopo sette giorni, anche Manson venne arrestato con un’accusa di omicidio di primo grado per il caso Tate-LaBianca, e poi per altri omicidi avvenuti nell’agosto 1969.

Pena di morte per tutti i membri del gruppo, poi commutata in ergastolo dopo in quegli anni in California venne abolita la pena di morte.

Le motivazioni date da Manson

Ma cosa spinse Manson ad ordire gli omicidi della moglie di Polanski e delle altre vittime della ‘Family’?

Stando alle ricostruzioni, la villa era di proprietà di Terry Melcher, produttore musicale che sembrava inizialmente interessato ad alcuni brani di Manson. Ma quell’interesse non ebbe un seguito: Melcher si rifiutò di fargli un contratto.

Quell’abitazione costituì, per Charles Manson, un simbolo, un espediente per farla pagare a tutti quelli che l’avevano rifiutato come artista, nonostante fosse stato informato che la villa fosse diventata di proprietà di Roman Polanski e di Sharon Tate.

Al processo, quando venne convocato per giustificare i propri atti, Manson disse di essere stato ispirato dalla canzone dei Beatles, “Helter Skelter”. Il brano, secondo lui, nascondeva un messaggio profetico a lui rivolto e che lo invitava a diffondere il caos nella società dell’epoca.

Sharon Tate venne seppellita a Culver City, in California, insieme al suo bambino, messole tra le braccia. Quel bambino, di sesso maschile, che il padre, Roman Polanski, non poté mai veder crescere.