Se è vero, com’è vero, che siamo in una democrazia, è anche vero che per governare ci vogliono i numeri. La Lega di Matteo Salvini è in crescita, questo è un numero. Ma una rondine non fa primavera (ne è esempio questo freddissimo maggio) e un 30% non fa certamente una DC. Lo sanno bene Matteo Renzi, che nel 2014 stravince le elezioni europee in italia raggiungendo il 40,8% dei voti, e il Movimento 5 Stelle, che nelle politiche del 4 marzo 2018 raggiunge in solitaria quasi il 33%.

Storie di ascese (e discese) che aprono la questione: Salvini è il prossimo capo indiscusso di un’egemonia italica a marchio Lega sempre più in espansione?

Probabilmente no e la percezione del fenomeno va ridimensionata. Ecco perché.

La contestazione

Matteo Salvini ha fatto della sua figura il suo punto forte. Non c’è giornale che ogni ogni giorno non abbia almeno un titolo salviniano che esuli il racconto politico e si concentri sulle sue bizzarrie. Bene o male purché se ne parli, sembra essere il filone suggerito dal vicepremier. Piazze reali e virtuali piene di sostenitori e la convinzione diffusa che questo “sintomo” sia qualcosa di inarrestabile, accolto con entusiasmo e che anticipi addirittura una supremazia indiscussa del partito.

Eppure…

A margine di ogni comizio c’è sempre una contestazione. Notizie di poche ore fa la reazione di Salvini alla contro-manifestazione di Settimo Torinese e lo striscione appeso a un balcone di Bergamo. Solo nel mese di maggio (ben 13 giorni) a margine dei comizi elettorali della Lega ci sono stati: fischi a Fossano, in Piemonte; cori e striscioni ad Albenga, in Liguria; cori di “Bella Ciao” a Scandicci, in provincia di Firenze; cartelli di protesta a Fossano, in provincia di Cuneo; selfie provocatori a Milano e a Salerno; fischi a Catanzaro; magliette e cartelli a Monreale (Palermo). E ancora, contestazioni a Perugia, a Modena, a Napoli, all’adunata nazionale degli alpini…

Ad ogni manifestazione corrisponde una reazione uguale e contraria: l’aggettivo “indiscusso” appare piuttosto inappropriato.

La teoria della bolla

The Filter Bubble – Accade nella vita reale e accade sui social: l’essere umano tende a circondarsi di persone che la pensano come lui, che condividono una stessa “bolla culturale“. E’ una selezione che avviene naturalmente. Avviene nel momento in cui si decide di frequentare qualcuno di “più affine” ai propri interessi, succede quando si sceglie di incontrare sempre meno spesso gente con cui “non ci si trova” e culmina nel momento in cui nascono antipatie con chi è in disaccordo.

Sul web funziona allo stesso modo, solo che a selezionare i contenuti della nostra bolla ci pensano gli algoritmi. Le azioni di ogni utente su siti, social e piattaforme vengono raccolte e finalizzate alla costruzione della “storia digitale” di ogni soggetto. Il web cioè sa cosa ci piace e cosa non ci piace: dalla musica, ai cibi, agli orientamenti politici. Lo scopo è quello di far apparire sullo schermo solo cose che ci interessano, contenuti personalizzati. Questo sia per ragioni commerciali (cose che potremmo acquistare), sia per non far perdere interesse per la piattaforma.

Come sarebbero i social se ogni haters invece di trovare sulla sua homepage link a sostegno delle sue tesi trovasse solo contenuti che contrastano il suo pensiero? Avrebbe lo stesso “coraggio” di scrivere senza filtri quello che pensa?

Credere che tutti siano dalla stessa parte (la propria) è dunque una verità parziale. Un dato relativo (non reale), prodotto di una bolla ideologica del tutto personale.

La Lega non è la DC

Dal 4% al 30% in cinque anni – e cioè da quando la Lega, ancora Lega Nord, inizia ad apparire sistematicamente nei sondaggi tra le coalizioni di centrodestra e da quando il “personaggio” Salvini inizia a fare capolino con il suo Noi con Salvini in giallo su sfondo blu – è una crescita che richiede una certa attenzione. Tuttavia, se di numeri si vuol parlare, bisogna dare a quel 30% il suo valore.

“Ottenere quasi il 50% dei voti? E’ impossibile. La maggioranza assoluta di un solo partito non si vede dai tempi della Democrazia Cristiana nel 1948” osservava lo scorso marzo nella nostra intervista il Direttore del Centro Italiano Studi Elettorali (CISE) Roberto D’Alimonte.

Ad oggi quel 30% non può governare da solo.

La Lega ha bisogno di qualcuno. Sceglierà ancora la linea del cambiamento preferendo vantaggi e svantaggi del Movimento 5 Stelle? Ci sarà un ritorno di fiamma e la nostalgia batterà la strategia in favore di Forza Italia? Assisteremo a un’escalation dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni divenuti competitivi a suon di battaglie per restituire la cittadinanza italiana a tutti i pittori e scultori della storia? Oppure ci sarà un colpo di scena e salterà fuori qualche nuovo leader carismatico?

Più che concentrarsi sull’idea di un Salvini inarrestabile all’alba del suo impero, insomma, è il caso di ridimensionare il suo raggio di influenza e chiedersi: chi sceglierà?