Ai rifugiati eravamo abituati, questi qui non cambieranno mai“. Questo l’appello delle persone insorte in Via dei Codirossoni a Torre Maura, dove i manifestanti hanno spiegato ai nostri microfoni le ragioni del malcontento.

Le parole che più fanno riflettere forniscono scenari apocalittici, “saranno sempre ladri, non li vogliamo nelle scuole coi nostri figli“, si dice: tutto semplicemente riconducibile al razzismo?
Difficile a dirsi, perché la convivenza tra gli stessi intervistati e i rifugiati che prima occupavano la struttura, seppur con qualche tafferuglio, sembrava comunque ai margini della civiltà, una civiltà che l’odio razziale avrebbe probabilmente messo a dura prova.

Allora si deve forse ammettere l’insufficienza di un’accoglienza che porta tante cose buone, ma non l’integrazione, non un atteggiamento che consenta agli abitanti di sentirsi sicuri. Certo, è un obbligo ricordare che l’integrazione non è solo compito delle istituzioni, ma delle persone, degli individui in primis, ma si tratta di un processo lento e graduale, che vuole la disposizione da entrambe le parti a tendere la mano perché un’idea di civiltà affiori anche dalla convivenza di diverse culture, soluzione che non sembra al momento essere prevista, non in Via dei Codirossoni, non a Torre Maura.

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