Vide la luce in un piccolo stanzino del seminterrato, più simile a uno sgabuzzino dove infilarci le scope e prodotti per la pulizia della casa che a un vero e proprio ufficio, “Il Padrino“, capolavoro letterario di Mario Puzo, dal quale Francis Ford Coppola attinse per dare forma alla sua celebre e immortale pellicola.

A raccontare, sul “New York Post“, la nascita del romanzo che spopolò appena uscito nelle librerie americane e che spegneva ieri la sua, cinquantesima candelina, il figlio dell’autore, Tony, che ha sottolineato che, in quella stanza “c’era anche una scrivania con una macchina da scrivere e un tavolo da biliardo. Quando io e i miei fratelli scendevamo a giocare, facevano rumore. Allora lui si arrabbiava e ci urlava: ‘Silenzio! Sto scrivendo un best-seller!“.

Morto nel 1999, Mario Puzo non potrà godersi il cinquantesimo anniversario del suo libro, al contrario di Francis Ford Coppola che, nella nuova prefazione del romanzo, scritta di suo pugno per quest’importante ricorrenza, ha raccontato che, in realtà, il best seller non gli era piaciuto inizialmente. “Mi sembrava un prodotto commerciale pieno di sesso e stupidità” ha detto il noto regista, convinto, a seguito di una seconda lettura, dalle dinamiche familiari presenti nel romanzo.

Sapevo di essere stato preso in considerazione per dirigere l’adattamento cinematografico e la mia prima reazione fu quella di rifiutarlo. Avendo però bisogno del denaro e un ancora più disperato bisogno di dirigere un film, decisi di rileggerlo e questa volta di prendere appunti accurati. Quello che scoprii è che in agguato c’era una grande storia, quasi classica nella sua natura, quella di un re con tre figli, ognuno dei quali aveva ereditato un aspetto della sua personalità. A quel punto ho pensato che se potevo semplicemente estrarre quella parte del libro e fare il film su quella, allora me ne sarei entusiasmato” ha scritto Coppola.

Diventati amici, Puzo e Coppola diedero vita a interminabili sessioni a casa dei Coppola per scrivere la sceneggiatura del film “Il Padrino”, tra pasta al pomodoro, bambini urlanti e vino rosso sempre in tavola. “Per quanto ammirassi il suo talento, il suo modo di esprimersi, alla fine quello che mi piaceva era stare con lui. Lo amavo come uno zio preferito, era divertente, così caldo e saggio. Divertente e affettuoso” ha ricordato il regista che rese immortale sul grande schermo il romanzo dell’amico.

E pensare che la scrittura di quel romanzo fu fonte, per Mario Puzo, di sofferenze e ripensamenti. Come racconta nella sua biografia, finì il libro dopo tre anni “perché mi serviva il secondo assegno dell’anticipo“.

Con quel denaro, lo scrittore riuscì a portare la famiglia in viaggio in Europa, convinto che al loro ritorno dovranno cambiare casa perché non possono più mettersi quella in cui vivono. Le cose andarono diversamente: l’editore riuscì a vendere, prima ancora che il libro fosse pubblicato in copertina rigida, i diritti della versione in economica per 410 mila dollari, quasi 3 milioni di dollari odierni.

E, viste le premesse, best-seller fu: nel 1970 sono 5 milioni di copie. A gennaio, la tiratura arriva a 7 milioni, confermando a Mario Puzo di aver scritto un’opera d’indubbia qualità.