L’attuale presidente della casa editrice Longanesi ed ex direttore del Corriere della Sera è intervenuto a Lavori in Corso sulla recessione economica e sui recenti dati dell’occupazione italiani.

Sui recenti dati economici e dell’occupazione del nostro Paese è intervenuto, per via telefonica, a “Lavori in corso” con Stefano Molinari e Luigia Luciani Ferruccio De Bortoli, ex direttore del ” Corriere della Sera” e attuale presidente della casa editrice Longanesi.

Sono dati contrastanti: da una parte la recessione, due trimestri consecutivi con il PIL in discesa, dall’altra il ritorno a un livello di occupazione superiore a quello dell’inizio della crisi. Come li mette insieme questi due dati contrastanti?

Il dato veramente preoccupante è quello dell’andamento del Prodotto Interno Lordo, cioè noi stiamo entrando in recessione e speriamo, naturalmente, che l’inizio del 2019 sia relativamente migliore. Dobbiamo, poi, confrontare quel dato negativo con il resto d’Europa, quindi misurare la distanza e la nostra velocità alla velocità di crescita, seppur ridotta, degli altri Paesi. Naturalmente incidono alcune scelte che sono state fatte anche da questo governo, che comunque i 7 mesi del 2018 li ha comunque passati in carica. E’ chiaro che, naturalmente, le leggi di bilancio incidono sulle aspettative: se si fermano i cantieri, si bloccano gli investimenti e non si può pensare di crescere. Si può discutere sull’effetto del Decreto Dignità e sui dati dell’occupazione di cui avete dato conto voi, però mi sembra di capire che contratti a tempo indeterminato non crescono. L’obiettivo anche del Decreto Dignità che, come gli altri interventi del precedente governo, è quello di far crescere il livello dei contratti a tempo indeterminato, cioè della stabilità del lavoro, e siamo ancora lontani. Penso però che sia negativo discutere su di chi sia la responsabilità: guardiamo i dati concreti, perché altrimenti non ne usciamo più. Bisogna tenere conto che ci sono degli elementi oggettivi. Intanto, c’è una congiuntura internazionale che si è indebolita, pensate al settore dell’auto: si ferma e rallenta l’industria tedesca e, ovviamente, c’è un contraccolpo negativo per l’industria italiana.

Prevalentemente per i dazi, questo va detto…

Si, questo va detto e, naturalmente, paghiamo anche noi un prezzo al protezionismo internazionale. Dopodiché, bisogna mettere le imprese nella condizione di poter esportare. Certo Di Maio, nell’ultimo tratto della sua dichiarazione che ho sentito, dice che saranno i consumi a compensare l’aumento della domanda interna, in modo da far crescere di più il Paese e speriamo che sia così, che il Reddito di Cittadinanza e, forse, persino Quota 100, possano in qualche modo, attraverso una crescita dei consumi, tenere la domanda interna. Ho qualche dubbio.

Perché è il mondo dell’imprenditoria che non si sente, in questo momento, rappresentata…

L’economia è fatta di aspettative e non si può pensare che le scelte di questi ultimi sette mesi possono aver inciso negativamente sulle aspettative delle imprese e, purtroppo, il livello degli investimenti è assolutamente insufficiente. Spero che ci sia un momento di riflessione su ciò che è importante per il nostro Paese, ma non possiamo pensare di poter crescere soltanto con il Reddito di Cittadinanza o con Quota 100. Ci vogliono delle iniziative e dei provvedimenti diversi e più incisivi a favore delle imprese sul versante degli investimenti.

Qui c’è un dato politico non da poco rispetto alla posizione che ha questo governo…

Non si può pensare di avere un po’ di adesione, anche sentimentale, alle ipotesi di crescita felice, per cui non facciamo gli investimenti, ipotizziamo d’incentivare l’elettrico e, magari, penalizziamo le produzioni nazionali, come sta avvenendo nell’auto. Le incisioni, dal punto di vista degli incentivi o del bonus e malus dal punto di vista dell’auto, va contro gli interessi dell’industria nazionale. Forse sono decisioni positive dal punto di vista dell’impatto ambientale, però poi hanno un impatto negativo dal punto di vista del lavoro e della produzione, se pensiamo alle auto che ancora si producono in Italia. Ci sono tante cose che si potrebbero fare, però se litighiamo non andiamo da nessuna parte. Questo è l’unico paese in cui il dato statistico non è accettato da tutti come vero ma è sospettato, manipolato. Se è tutta colpa di quelli che sono venuti prima, sospendiamo il ragionamento e, fra pochi mesi, non si potrà più dire che è colpa di quelli che venivano prima. Ci auguriamo che abbia ragione Di Maio e che si possa crescere, ma penso che il bene del Paese non si fa litigando e sospettando sull’altro continuamente. Non c’è giorno nel quale non ci sia una polemica o uno scontro verbale…Io vorrei reintrodurre una rubrica su Il Giornale dal titolo ‘Quando lavorano?’, dopodiché promuovere una giornata del silenzio operoso. Non si litiga, si fa.

Non so se lo nota anche Lei che, comunque, un certo spirito di realtà sta venendo a galla, per esempio con il premier Conte, che è meno marginale di quanto era stato descritto. E’ possibile quello che Lei dice, cioè il fare conti con la realtà, cercando possibili soluzioni?

Un principio di realtà sta imponendosi. Devo dire che il premier Antonio Conte, anche dal punto di vista della capacità di mediazione, si è dimostrato abile e, francamente, non potevamo pensare che lo fosse così. Deve moderare i suoi due principali ‘azionisti di riferimento’, possiamo chiamarli così, ma lui è un uomo di legge, di ponderatezza, che valuta costi e benefici, quindi richiamerà un principio di realtà. Prima o poi, il principio di realtà smentisce i sogni ottimistici che fanno ancora parte di una campagna elettorale che continua.