La vicenda della ballerina italo-egiziana arrestata al Cairo solleva interrogativi profondi sul rapporto tra arte, corpo femminile e repressione culturale. Mentre la giustizia egiziana parla di “provocazione”, molti osservatori denunciano un clima crescente di censura.

Una star dei social dietro le sbarre

Con oltre due milioni di follower su Instagram, Linda Martino è una delle danzatrici del ventre più seguite nella scena mediorientale. Cittadina italiana, cresciuta tra due culture, si è imposta come artista di successo. Ma oggi il suo nome è associato a tutt’altro: arresto per offesa alla morale pubblica. Le autorità egiziane sostengono che Linda abbia violato “i valori sociali” attraverso esibizioni e contenuti considerati troppo audaci. Secondo le carte dell’accusa, avrebbe mostrato “zone sensibili del corpo” e usato “tecniche di seduzione” per “incitare al vizio”.

Un clima di repressione già noto

Il caso di Linda non è isolato. Negli ultimi due anni, almeno cinque danzatrici del ventre sono finite nel mirino delle autorità egiziane. Da Gawhara a Safinaz, le accuse sono sempre le stesse: costumi provocanti, gesti troppo espliciti, video social in contrasto con la morale pubblica. Una tendenza che preoccupa.

Tra libertà artistica e controllo sociale

Il caso Martino riporta al centro un tema universale: il controllo sul corpo femminile e il confine tra libertà artistica e imposizione morale. In un contesto conservatore come quello egiziano, la danza del ventre – pur appartenendo alla tradizione – è da tempo sorvegliata con sempre maggior rigore. La reazione delle autorità, secondo molte associazioni per i diritti civili, rivela un tentativo sistematico di reprimere l’indipendenza femminile. Non a caso, le prime a pagare il prezzo di questa stretta sono donne giovani, popolari e libere.

Il silenzio delle istituzioni e la voce dei social

Nel frattempo, le autorità italiane faticano a ottenere risposte. L’ambasciata al Cairo ha chiesto chiarimenti, ma per l’Egitto Linda è una cittadina egiziana. In questo limbo diplomatico, le uniche parole arrivate sono quelle della stessa artista, affidate a Instagram: “Non voglio provocare, voglio solo ballare. Non sono un crimine”. Un messaggio semplice, ma potente. Mentre la giustizia discute di morale, la libertà di espressione resta appesa a un filo, tra il silenzio degli stati e il rumore dei social.