Ogni anno, di questi tempi, mi assale il ricordo di quando insegnavo in una scuola gestita da un ordine di suore; una scuola religiosa, dunque, dove i primi giorni di dicembre allestivamo il presepe.
Ricordo i miei allievi cattolici, ortodossi, musulmani, induisti, ebrei.
Quando facevamo l’albero, i ragazzi si divertivano; quando si realizzava il presepe, tutti partecipavano divertendosi e sentendosi comunità. Tutti.
Se vi dovesse assalire il sospetto, preciso subito un concetto: non pretendeva di convertire nessuno; i musulmani restavano tali, gli induisti pure. Nessuno tornava a casa turbato, o sentendosi offeso e discriminato. Ricordo di aver visto e percepito da vicino divertimento e comunione, in tutte le accezioni che questo vocabolo può avere.
Anche nell’ istituto pubblico dove insegno oggi abbiamo allievi di nazionalità rumena, bosniaca, croata, congolese, indiana, cingalese, nigeriana, italiana e chi più ne ha più ne metta.
Sono di religione cattolica, ortodossa, protestante, induista, islamica; qualcuno si professa ateo, forse senza esserne così consapevole.
Tutti, però, indistintamente, si soffermavano ad ammirare il grande presepe che avevamo nell’atrio del terzo piano, accanto alla cattedra dei collaboratori scolastici. A loro piacevano i ruscelli realizzati con carta stagnola, le montagnole di cartone con il muschio appiccicato sopra, le statuine di dimensioni variabili sistemate in un tentativo di prospettiva.
Presepe? Una stella cometa non ha mai discriminato nessuno…
Non ho ancora conosciuto un ragazzino che si sia sentito escluso, o discriminato per una stella cometa. Nessuno ci obbligava ad allestirlo, quel presepe, proprio per questo avremmo continuato a realizzarlo e nessun travisamento del concetto di inclusione del quale ci si riempie sempre la bocca avrebbe dovuto vietarcelo.
Sento dire che in molti istituti si può avere l’albero di Natale, perché è o sarebbe un simbolo neutro (e molto consumista) ma non il presepe, perché turberebbe le coscienze o non rappresenterebbe tutte le tipologie di famiglia, ma solo quella tradizionale.
Ma non fu proprio San Giuseppe il primo ad avere accettato una famiglia non tradizionale? Nel presepe c’è il falegname più inclusivo di tutti. Come si fa a pensare che il problema siano quattro statuine e qualche montagna di cartapesta?
La laicità della scuola pubblica è un caposaldo, ne facciamo un vanto. Quando si parla di cose serie.
Alcune questioni vanno, poi, ribaltate: c’è un tracciato culturale, oltre che religioso, secolare, che i ragazzi non italiani debbono conoscere, così come i nostri debbono conoscere gli usi, i costumi, le abitudini e i culti dei loro compagni dell’Europa orientale o del Marocco.
Un mio alunno egiziano, lo ricordo ancora, era entrato nell’età in cui si può praticare il Ramadan; la sua famiglia rispettava ogni precetto islamico; lui, nel frattempo, era comunque ben contento di ricevere regali a Natale, esattamente come i suoi compagni i cui genitori si professano atei e come prima cosa pretendono l’ora alternativa a quella di religione.
A forza di vietare, omettere, spersonalizzare rischiamo di ottenere solo una sempre più omologata ignoranza, futuri adulti che si stupiranno soltanto per le scritte luminose degli outlet.
Agli ultras del politicamente corretto, ai sofisti che diventano sempre più miopi di fronte alle loro ipocrisie, andrebbe consigliato di preoccuparsi di ciò che realmente può rendere più civili e liberi gli individui; di quello che sul serio può aiutare il dialogo e l’abbattimento delle barriere, fosse anche una capannina di cartapesta o il racconto di un compagno che viene da lontano e che spiega com’è mangiare solo dopo il tramonto del sole per un mese.
Io, per esempio, sognavo di intervistare i Re Magi. Tutti e tre.










