Secondo il rapporto Panorama delle pensioni 2025 dell’Ocse, l’età normale per smettere di lavorare è destinata a crescere in oltre la metà dei 38 Stati aderenti. L’Italia è tra i paesi in cui l’età pensionabile potrebbe arrivare, udite udite, a 70 anni o più, insieme a Danimarca, Estonia, Olanda e Svezia.

Per chi ha avviato la carriera nel 2024, l’età pensionabile media nell’insieme dei Paesi Ocse passerà a 65,9 anni per le donne e 66,4 anni per gli uomini. L’Ocse avverte che l’invecchiamento demografico rappresenta una sfida strutturale con notevoli conseguenze economiche, fiscali e sociali.
In Italia, dove la spesa previdenziale è al 16% del PIL, la popolazione in età lavorativa — cioè dai 20 ai 64 anni — è prevista in calo di oltre il 35% nei prossimi 40 anni.
Per garantire la sostenibilità dei sistemi previdenziali e per promuovere la crescita, i paesi dovranno innalzare l’età pensionabile effettiva e ampliare, secondo queste logiche, le opportunità di lavoro per i lavoratori più anziani.
All’Italia, guarda un po’, viene lanciato un monito: fare di più per i lavoratori anziani. Sebbene il tasso di occupazione per la fascia dai 60 ai 64 anni sia raddoppiato dal 2012, con il 47% nel 2024, l’Italia è ancora 10 punti sotto la media Ocse.
Insomma, io trovo che la follia sia pensare che, per risolvere il problema delle pensioni, si debba andare in pensione più tardi. Nessuno considera invece un’ipotesi più plausibile, e cioè che bisogna invertire il trend stravolto delle nascite, che è avvenuto a causa della distruzione dello stato sociale voluta dall’Unione Europea.
Conseguentemente, sono i giovani che, normalmente, sostengono le pensioni degli anziani nei paesi normali — cioè nel mondo normale, non nel mondo alla rovescia che vi sto raccontando. Qui invece si distruggono le popolazioni giovani, non si crea un futuro per i giovani, e poi si dice alla gente di andare a lavorare fino a 70 anni.
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi










