Cicalone denuncia alla Camera ▷ “Vi spiego dove si nasconde la microcriminalità delle grandi città”

Simone Cicalone ha partecipato all’ordine dei lavori della commissione sulle periferie e il degrado cittadino: lo youtuber è recentemente salito alla ribalta delle cronache per il pestaggio subito in una stazione metro di Roma lo scorso 12 novembre, e da allora ha partecipato a diversi convegni su come la microcriminalità stia prendendo piede nelle città italiane.
L’ultimo è stato quello del 3 dicembre alla camera dei deputati.
Nel video l’intervento integrale.

Case popolari e microcriminalità

“Le periferie italiane, partendo dallo Zen 2 di Palermo, passando per Milano (San Siro, Corvetto), attraversando tutti i quartieri di Roma, e arrivando a Torino, Verona, Padova, Bologna, Firenze – città che ho visitato tante volte – fino a Napoli, senza nulla togliere a quest’ultima, presentano tutte lo stesso comune denominatore: le case popolari. Ogni volta che c’è un problema in queste zone, il cuore del problema risiede nelle case popolari. Non perché le case popolari siano intrinsecamente un problema, anzi, con molta probabilità sono una delle risorse migliori per aiutare chi non ha la possibilità di pagarsi un affitto, soprattutto nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli, Firenze e così via. Ma spesso queste case vengono abbandonate, e in molti casi, lasciate in mano alla criminalità. La criminalità, infatti, la prima cosa di cui si appropria sono proprio le case popolari. Dove c’è debolezza da parte delle istituzioni, la criminalità si insedia, perché a Roma, per esempio, ci sono 40.000 domande di persone che vogliono subentrare nelle case popolari, e hanno tutti i requisiti. Per accedere a un alloggio popolare, infatti, ci sono criteri da rispettare: più requisiti si hanno, più probabilità ci sono di essere selezionati.

Di questi 40.000, 30.000, 35.000, mediamente vengono assegnati settanta, ottanta alloggi all’anno. A qualcuno potrebbe sembrare che siano tutti occupati, ma non è così. Ci sono tantissimi alloggi vuoti, prima ancora di quelli occupati abusivamente. Si tratta di alloggi che sono stati sgomberati e poi lasciati in abbandono, a marcire. E poi ci sono le occupazioni abusive, che suddividerei in due categorie: da un lato, quelle gestite dalla criminalità organizzata, e dall’altro, quelle di persone che, per necessità, hanno occupato un appartamento, magari sfondando una porta. In ogni caso, si tratta sempre di un problema. Un patrimonio così importante, che a Roma include anche immobili di pregio, viene mal gestito. E voi direte: “Ci sono case popolari anche a Prati?” Ebbene sì, ci sono case popolari bellissime anche in centro, vicino all’Aventino, nella zona di San Sabba. Io stesso, passeggiando, ho contato sei o sette alloggi popolari di pregio, comprese due ville.

Un appartamento in quella zona ha un sistema di allarme installato, con un cartello che avvisa: “Attenzione, appartamento allarmato”. L’allarme lo paghiamo noi, circa 500 euro al mese, per garantire che nessuno entri. Ma se queste case sono vuote e lasciate inutilizzate, e in più spendiamo 500 euro al mese per mantenerle, senza occuparcene, è una gestione fallimentare. Questo è il problema nelle periferie: molte volte la causa risiede proprio negli alloggi, che, se lasciati in stato di abbandono, diventano terreno fertile per la criminalità”.

Periferie

“Ad esempio, vi porto il caso di Quarticciolo, di cui si parla tanto. È un quartiere con problemi di spaccio, come via Ostuni, ma anche con un forte abbandono degli alloggi. Quando questi appartamenti sono vuoti, la criminalità trova il modo di inserirsi. Il loro welfare è quello di occuparsi della manutenzione degli appartamenti e dei bisogni delle persone che ci vivono. Chi vive in queste situazioni, spesso, si sente costretto a scegliere tra “essere con loro” o “essere contro di loro”. E mentre molti riescono a mantenersi fuori da questa spirale, altre persone sono costrette a scivolare nel crimine per sopravvivere.

Io ricordo San Siro, un quartiere multiculturale dove ogni palazzina appartiene a una nazione diversa, e non c’è nessuna comunicazione tra i gruppi. Non c’è integrazione, nemmeno tra gli stessi stranieri, che anzi si fanno la guerra tra di loro. Abbiamo realizzato un video a San Siro, e due settimane dopo i protagonisti di quel video, che avevano messo da parte le loro differenze, si sono sparati tra di loro. Un episodio tragico che dimostra quanto la violenza sia radicata in certe realtà. La cronaca successiva ci ha mostrato che uno di questi, noto alle forze dell’ordine per il suo coinvolgimento in attività criminali, era uno dei partecipanti al nostro video.

E in effetti, nelle periferie, si trova un isolamento incredibile, come ad esempio a San Siro. Molte persone ci raccontavano che non andavano mai in centro città per paura. Non per il fatto che avessero nemici là, ma semplicemente per le difficoltà di attraversare certi quartieri. E la stessa cosa succede a Roma: Pigneto, Corvetto, anche se non sono più considerate “periferie”, sono quartieri problematici, eppure ci si va tranquillamente a ballare o a socializzare. Ma basta prendere una via laterale, e ti trovi una “crack house” a cielo aperto, senza che nessuno faccia nulla.

A Piazza Pepe, vicino all’Acquedotto Romano, ci sono almeno trenta persone che vivono sotto, consumano crack e, a causa della necessità di rifornirsi continuamente, si ritrovano in una condizione di dipendenza che influisce gravemente sulla loro vita, fisica e psicologica. Questo accade anche in altre zone di Roma, come Centocelle o via Palmiro Togliatti. In questi luoghi la vita ha un prezzo. Sono esempi di come la criminalità e il consumo di droghe si siano radicati in certe periferie. E, come dimostra anche la microcriminalità, la vita umana ha un valore ridotto, tanto che basta dieci euro per incitare due persone a picchiarsi per strada”.

Spaccio digitale

“Il consumo di sostanze stupefacenti è diventato talmente diffuso che è possibile acquistare droga ovunque, anche senza conoscere il posto giusto. Conosciamo i punti di spaccio a Trastevere, Ponte Sisto, Piramide, Centocelle… e oggi la droga si trova anche su Telegram. È una realtà che nessuno può negare. Purtroppo, i giovani nelle periferie non sono sempre consapevoli dei pericoli che corrono. Nonostante vedano gli effetti devastanti delle droghe, continuano a consumarle, e questo accade anche perché spesso il sistema educativo non è in grado di fermarli.

Io stesso ho sempre avuto uno stile di vita sano, non fumo, non bevo, non mi drogo, ma so che le persone si trovano a fare scelte sbagliate, fin dalla scuola media. Conosco molte persone che oggi sono dipendenti, e la loro vita è cambiata profondamente. Però, se vuoi, oggi puoi trovare sostanza stupefacente ovunque. Anche nella mia generazione, la situazione era diversa. In passato, se volevi scoprire qualcosa, dovevi passare ore a cercare informazioni in una vecchia enciclopedia, mentre oggi i ragazzi hanno a disposizione strumenti incredibili, come i motori di ricerca o l’intelligenza artificiale.

Tuttavia, il problema è che molte volte i giovani non sono guidati nel loro potenziale. Spesso non c’è un’educazione che li prepari a sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia. Anzi, invece di corsi utili, come quelli sull’intelligenza artificiale, si propone loro di frequentare corsi anacronistici come quelli di ceramica o danza. Siamo lontani anni luce dal mondo che sta evolvendo. Eppure, i giovani hanno bisogno di risposte concrete. Hanno bisogno di essere qualificati, educati, e aiutarli a capire che hanno un potenziale enorme nelle loro mani.

In alcuni quartieri delle periferie, non c’è nulla. Non ci sono parchi, non ci sono risorse. L’unica cosa che possono fare i giovani è accontentarsi di ciò che gli viene offerto, come la vendita di droghe o il lavoro come vedetta per i trafficanti. Queste realtà vanno affrontate seriamente. La presenza delle istituzioni nelle periferie è fondamentale, ma purtroppo, molte volte è percepita come inutile, arrivando solo quando c’è già un’emergenza. La proposta di attività alternative, come la musica o l’informatica, potrebbe fare la differenza, ma bisogna farlo con un approccio più concreto e mirato.

Oggi, i giovani devono avere l’opportunità di sfruttare le nuove tecnologie. L’informatizzazione è la chiave per aprire loro nuove porte. Altrimenti, rischiamo di trovarci di fronte a una situazione simile a quella delle banlieue francesi, dove intere zone sono diventate dei ghetti inaccessibili”.