Il recente intervento dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha suscitato polemiche per la chiarezza con cui ha tracciato il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale. Nelle sue parole, l’Italia deve «essere proattiva» e abbandonare l’idea di una semplice «resilienza», farsi dunque motore di iniziative militari e geopolitiche all’interno dell’Alleanza Atlantica. Dichiarazioni che, pronunciate non su un quotidiano nazionale ma sul Financial Times, hanno lasciato molti osservatori interrogarsi sul senso e sugli obiettivi di questa “proattività”.
Tra chi ha risposto con durezza a tali parole c’è Giorgio Bianchi, fotoreporter che da anni segue da vicino il conflitto nel Donbass. Bianchi, con la franchezza che lo contraddistingue, legge le parole di Cavo Dragone come il segnale di una subordinazione coloniale piuttosto che di una strategia sovrana. «Alla fine della guerra fredda gli Stati Uniti hanno deciso che la storia era finita», afferma, «la Russia la stavano smembrando, smontandola a pezzi, portandosi via pure le fabbriche e piazzando lì oligarchi convinti che oramai avessero vinto».
La retorica della “fine della storia” si è effettivamente trasformata in una trappola ideologica di cui oggi paghiamo le conseguenze. «Porre le colonie al di fuori della storia e farle occuparsi di scemenze è un’attitudine da fine della storia», dice, riferendosi alla deriva occidentale verso temi marginali mentre gli equilibri globali tornano a muoversi. Oggi, osserva, «l’impero si è ritestato perché si è accorto che dall’altra parte c’è la Russia, c’è la Cina e c’è l’Iran che cominciano a bussare alla porta dell’impero» e giocano ora con le stesse regole imposte dall’Occidente.
La “proattività”, nelle parole di Cavo Dragone, diventa così per Bianchi una maschera: «sarei d’accordo, se non fosse che questo essere proattivi è al servizio dell’impero e non per interessi nazionali». È un commento che racchiude la sua accusa principale: la politica estera italiana, lungi dall’essere autonoma, agirebbe da eterna pedina al servizio di logiche altrui. Non stupisce, quindi, la sua domanda ironica e amara: «vorrei capire innanzitutto a quale titolo parla un ammiraglio e dice cose di questa gravità».
Bianchi non risparmia le sue invettive neppure quando tocca il nodo economico. Il fatto che Cavo Dragone abbia scelto il Financial Times come tribuna è significativo. Lo stesso giornale, ricorda, «in prima pagina titola che l’Italia non dovrebbe riappropriarsi del proprio oro». Una coincidenza che, nell’analisi del reporter, non fa che confermare l’allineamento dell’élite italiana a interessi esteri. «Io penso che l’Italia purtroppo è piena zeppa di quinte colonne», conclude, lasciando trasparire la convinzione che dietro al linguaggio della “proattività” si nasconda una realtà di dipendenza e complicità.
«Un generale, un ammiraglio in questo caso, dovrebbe parlare nell’interesse nazionale e vorrei capire innanzitutto a quale titolo parla un ammiraglio e dice cose di questa gravità, se il Presidente della Repubblica Mattarella che ha sempre il monitor lì pronto non ha da dire qualcosa, visto che in caso di guerra il Presidente della Repubblica sarebbe teoricamente il capo delle forze armate e quindi a quale titolo parla questo Vanesio con questa barba ottocentesca e anche perché insomma se noi siamo proattivi contro la Russia, la Russia potrebbe essere proattiva contro di noi»
Nel video l’intervento di Giorgio Bianchi a Un Giorno Speciale.










