
Alle 21:30 (ora italiana),ù di oggi si terrà un vertice di rilevanza internazionale tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente della Russia Vladimir Putin, presso la Joint Base Elmendorf–Richardson di Anchorage, Alaska. Questo incontro, il primo del genere dal 2019 e il primo summit Russia-USA tenuto negli Stati Uniti dal 1988, si concentra sulla delicata questione della guerra in Ucraina, che Trump ha promesso di voler porre fine fin dal suo insediamento nel 2024.
La diplomazia che circonda il summit è al limite dell’improbabile. La guerra in Ucraina continua a mietere vittime e nessuna delle due parti sembra disposta a cedere terreno. Putin punta a ottenere il riconoscimento dei territori occupati, la neutralità dell’Ucraina e l’allontanamento di Kiev dalla NATO, mentre Trump, sebbene annunci sanzioni severe e richieste di cessate il fuoco, mantiene un ambiguità di fondo sul suo reale ruolo e sugli obiettivi concreti del negoziato. La mancanza di un coinvolgimento diretto di Kiev e dei principali alleati europei lascia intravedere un summit che potrebbe risolversi più in una passerella mediatica che in un accordo sostanziale di pace.
La scelta dell’Alaska quale teatro dell’incontro ha un’escalation simbolica quasi ironica: un tempo territorio russo ceduto agli Stati Uniti, ora ritorna sotto i riflettori delle relazioni geopolitiche. Per Putin rappresenta un momento di rivincita e legittimazione internazionale, per Trump un tentativo di mostrare un controllo diplomatico che finora ha avuto più ombre che luci.
Non si può non osservare con una punta di rammarico come l’Italia, nazione storicamente cuore pulsante della diplomazia europea e del dialogo mediterraneo, abbia perso un’occasione d’oro per ospitare un vertice così cruciale. In un’epoca segnata da riassetti globali in rapida evoluzione, il nostro Paese avrebbe potuto sfruttare l’occasione per ritagliarsi un ruolo di maggiore influenza internazionale, ponendosi come mediatore neutrale e punto di incontro tra Est e Ovest. L’assenza italiana da questo palcoscenico riflette una strategia diplomatica timida e poco ambiziosa, che lascia spazio ad altri attori di monopolizzare l’agenda globale, relegando Roma a semplice osservatore. Una mancanza che, con tutta probabilità, peserà nei futuri equilibri di potere e credibilità internazionale del nostro Paese.
“Una critica va rivolta anche ai vertici russi: avrebbero dovuto usare toni meno duri nei confronti dell’Italia“. Il professor Michele Geraci lo ha detto ai diretti interessati: “Due mesi fa ho incontrato la portavoce Zakharova al Cremlino e glie l’ho fatto presente. Va detto che è questo, quello che avrebbe dovuto fare Tajani“.
Ascoltate il suo intervento a Un Giorno Speciale.









