Una certezza, nello schizofrenico quadro politico – economico attuale, resta: Bergamo continua a essere la mecca – con la minuscola, prudentemente – del calcio mercato; non solo di quello italiano.

Gli arabi sono ricchi scemi, come si diceva un tempo dei miliardari d’altre latitudini? No, non esattamente perlomeno: sono straricchi, al punto tale da fregarsene se qualcuno li considerasse scemi. Fino a oggi, però, avevano coperto di soldi più che altro i giocatori, non le società dalle quali li acquistavano. Ecco che Maometto, avendo a che fare con la Dea, capisce che se dalla sua parte ha gli sceicchi, sempre più munifici, dall’altra trova gli sce(r)icchi, ovvero i Percassi, che di anno in anno (grazie al lavoro di Gasperini) hanno generato ricavi dal pozzo delle plusvalenze, a Bergamo più profondo di quelli di petrolio nel deserto.

Mateo Retegui, nel frattempo, va a fare il sultano, ma anche un po’ l’uomo – blu del deserto, come quei pastori nomadi la cui pelle comincia a colorarsi della tipica tinta della loro veste: va a guadagnare venti “pippi” l’anno, giocando in un campionato periferico ma correndo un rischio relativo di perdere la Nazionale: se la concorrenza è quella attuale, resterà vestito d’azzurro senza dover attraversare altro deserto che quello delle aree di rigore del suo nuovo campionato.

Nel frattempo, in un contesto di riccastri sempre più indebitati, perché continuano a gestire i club presumendo una liquidità che in realtà non hanno, nella mecca di Bergamo continuano ad arricchirsi sul serio: in un paese cattolico, avendo ora tolto tanti soldi ai musulmani, ma sempre tenendo conto dell’etica protestante rispetto ai soldi: quella secondo la quale la ricchezza non va ostentata ma reinvestita per generare ulteriore ricchezza. La Dea resta la sposa ideale del dio denaro, insomma, quello che moltiplica se stesso a beneficio di coloro che sanno rendergli omaggio, come fanno gli sce(r)icchi di Bergamo.

Paolo Marcacci