Stasera l’ipotesi del Triplete, che avrà sempre la maiuscola della perfezione, era dall’altra parte della barricata, con delicato e un po’ spocchioso accento francese. Monaco non era il Bayern come avversario, stavolta, ma il tappeto verde dove sarebbero rotolati i dadi di tanti destini. Sono passati quindici anni eppure quel trionfo di Madrid per i tifosi nerazzurri pulsa sottopelle come un’arteria in più generata dall’orgoglio.

Di neutro c’è solo lo stadio, perché il
PSG mette subito in chiaro che il rettangolo di gioco è casa sua, in lungo e in largo: è così che l’Inter, prima dell’uno – due che abbatterebbe un bisonte, si ritrova confinata nella sempre più angusta riserva indiana della propria metà campo.

Desire Doue è “l’uomo in più” di Luis Enrique, il Toni Servillo dei parigini, per come caratterizza il copione di ogni azione: inventa la solitudine di Hakimi nel cuore dell’area per il vantaggio del PSG, firma il secondo gol grazie anche alla scelta più sbagliata del mondo con la quale Dimarco gli consegna lo spazio per il tiro e la conseguente deviazione.

La ripresa pretenderebbe un’altra Inter, che Inzaghi prova a riprogrammare; peccato che il vagito d’orgoglio disperda la sua eco nell’impatto nullo sulla partita da parte dei pretoriani del tecnico: Calhanoglu, Mkhitaryan e Lautaro non pervenuti; Thuram mai innescato, Barella fine a se stesso pur con tutta la sua intensità. Entra in partita con la giusta efficacia Zalewski, ma è ancora meno che poco.

Finisce troppo male per essere vera, invece è vero tutto, a cominciare dal modo in cui Bastoni e compagni continuano a farsi sorprendere dalla pressione dei parigini con la linea troppo alta.

Dembélé canta su note di assist e porta la croce dei contrasti; il PSG sembra aumentare la sua fame agonistica dopo ogni gol segnato, Luis Enrique pretende dai suoi un’intensità da zero a zero pure dopo il quarto gol e già solo per questo è un campione di sportività, ancora prima che d’Europa. Festeggiare anche il quinto in quel modo è la maniera più autentica di rispettare un avversario, per quanto quest’ultimo sia tramortito. È l’Anno Domini della sua guida tecnica, nessuno più di lui merita

Kvara Inter, sei rimasta a Milano.