Sanremo e il calcio: quando musica, canzone e tifo si intrecciano

Dall'amore per la Roma di Noemi fino alla passione per il Toro di Willie Peyote, passando per la 'genovesità' di Bresh e del ricordato De André. Sanremo non è solo musica.

Al Genoa avrei scritto una canzone d’amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo”.

Chi ha detto queste parole? Per scoprirlo torniamo a Sanremo, per respirare ancora gli strascichi della lunga settimana di quest’ultimo festival. Il calcio, si sa, è una parte fondamentale del quotidiano di miliardi di persone e le pop star italiane non fanno eccezione.

Il vincitore della rassegna di quest’anno è stato Federico Olivieri, in arte Olly, con il pezzo “Balorda Nostalgia”: la sua assidua presenza nella gradinata sud del Ferraris a tifare Sampdoria può portare a pensare a un riferimento ai bei vecchi tempi di Mancini e Vialli, in cui l’attuale Serie B non era minimamente immaginabile.

Ma non è l’unico VIP di questo festival ad essere famoso per la visceralità del suo tifo: come scordarsi di Noemi e della sua passione per la Roma, testimoniata anche dalla sua attenzione per la squadra femminile? O l’amore per il Toro di Willie Peyote, che in occasione della prima serata è salito sul palco con delle scarpe dedicate al suo club del cuore?

O Zena” e Fabrizio De André: troppo amore per dedicargli una canzone

Restando in Liguria poi è facile il pensiero su Bresh, tifoso sfegatato del Genoa e autore del famoso inno “Guasto d’Amore”. Nella sera delle cover si è voluto rivelare in tutta la sua ‘genovesità’, cantando una canzone del concittadino Fabrizio De André insieme al figlio del celebre cantautore: “Creuza de mä”, scritto interamente nel dialetto della sua città.

E in questo tripudio identitario dedicato alla vecchia repubblica marinara, il caso vuole che anche il buon ‘Faber’ fosse un tifoso maniacale del Grifone:

Il 5 gennaio 1947 mio padre mi portò allo stadio Marassi per una partita Genoa-Torino. Mi ricordo che quasi subito, forse per una sorta di antagonismo precoce, mi scoprii Genoano contro mio padre e mio fratello che erano accesi tifosi torinisti. […] Quel giorno mi pare che il Genoa abbia anche perso, e in questo senso credo di aver anticipato una mia tendenza che si sarebbe poi rivelata frequentando le scuole medie: ho sempre avuto un debole per i troiani e una forte antipatia verso gli achei e in questo sono confortato dall’opinione che anche il vecchio Omero la pensasse così, malgrado fosse probabilmente greco”.

Un amore, quello di De André, coerente con uno dei temi principali della sua arte: gli sconfitti, gli ultimi. E che lo tiene vivo anche in uno dei momenti più difficili della sua vita: quando nel 1979 viene rapito insieme alla seconda compagna Dori Ghezzi in Sardegna, lei stessa racconta che il tifo per ‘O Zena’ è una delle poche cose che gli permette di avere un contatto con il mondo esterno.

In prigionia praticamente non potevamo fare nulla, non ci davano la possibilità né di leggere i giornali, né di ascoltare radio, perché non ci arrivassero notizie che in qualche modo potessero riguardarci, però se il Genoa vinceva o perdeva quello ce lo dicevano. Perché lo facevano? Perché lo chiedeva Fabrizio! Gli chiedeva: ‘Ditemi che ha fatto il Genoa‘”.

Un amore gigantesco, forse anche troppo. Tanto da aver spinto il cantautore a pronunciare le parole riportate all’inizio di questo articolo, rinunciando a dedicare una canzone alla squadra, che insieme alla musica, ha rappresentato una delle passioni più grandi della sua vita.