Una verità sfugge nel mezzo della propaganda sanremese, tra gonne e monologhi anti maschio bianco

Finalmente il festival della canzone italiana di Sanremo è finito. Per dirla con il poeta Orazio, nunc est bibendum, hoc erat in votis.

L’ortopedizzazione liberal-progressista svoltasi dal teatro dell’Overton, come l’ho ribattezzato, è terminata. Alcuni suoi momenti salienti rimarranno scolpiti nella mente per il loro fortissimo impatto ideologico. Voglio ricordarne alcuni.

In primis il surreale monologo della comica Teresa Mannino contro il maschio bianco, apice della ben nota lotta contro il patriarcato, che in realtà è lotta contro l’idea della famiglia, e ripropone di fatto una forma di maschilismo di segno rovesciato, nel quale si afferma la superiorità della donna sull’uomo. Ma poiché un cubo rovesciato resta pur sempre un cubo, anche dire che la donna è superiore all’uomo non fa altro che riproporre i moduli del vecchio maschilismo che affermava la superiorità dell’uomo sulla donna. L’abbiamo detto più volte, il patriarcato oggi per fortuna non esiste più e quella che viene chiamata lotta contro il patriarcato è in realtà semplicemente la lotta contro l’idea del padre come simbolo della legge condotta da una civiltà turbocapitalistica che mira alla deregolamentazione integrale di tutto.

E poi come dimenticare la gonna di Mengoni? In questo caso è il non plus ultra del conformismo liberal progressista e della sua deregolamentazione antropologica funzionale alla deregolamentazione economica. L’abbiamo sottolineato più volte, il turbocapitalismo non si fonda sulla legge, sul tabù, sulla norma, sulla regola, ma al contrario sulla sovversione di tutte queste istanze, a tal punto che calzare la donna diventa un gesto fintamente rivoluzionario che in realtà esprime solo il massimo del conformismo della civiltà della deregulation. Neppure dobbiamo tacere del “Bella ciao” di Amadeus, vale a dire del ben noto antifascismo in assenza di fascismo, da distinguere attentamente dall’antifascismo in presenza di fascismo, intendo il nobile antifascismo di Gramsci o di Gabetti: loro lottavano contro il fascismo quando il fascismo c’era e la loro era una giusta lotta.

Oggi l’antifascismo in assenza di fascismo è solo una patetica glorificazione della civiltà neoliberale e del suo ipocrita presentarsi quale regno della libertà da proteggere contro il ritorno del fascismo, vale a dire contro ogni tentativo di trasformare la società neoliberale, fosse anche il tentativo di Marx o quello di Lenin. Bisogna però, per onestà, ricordare anche il solo momento di verità emerso nella rassegna e cioè quando, sul palco del teatro Overton, Ghali ha detto «fermate il genocidio». Con ciò naturalmente alludeva al trattamento inaccettabile della popolazione di Gaza da parte dell’imperialismo israeliano.

Una verità tra tante menzogne, se non altro, è riuscita a emergere. Non sarà tanto, ma è già qualcosa. In ogni caso, per fortuna, ora il festival della canzone italiana tace per un anno.

Non che la propaganda non seguiti a svilupparsi e a diffondersi: lo farà da luoghi diversi rispetto al teatro dell’Overton. Continuerà indefessamente a celebrare il proprio pensiero unico politicamente corretto, ma lo farà forse riuscendo meno a monopolizzare l’immaginario di quanto non si è avvenuto in questa settimana di Sanremo con i suoi ascolti altissimi, con la sua monopolizzazione integrale del dibattito pubblico.

Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro