Le parole di Guterres sulla Palestina sconvolgono la narrazione dell’Occidente, ma sono vere

Il quadro internazionale va complicandosi di giorno in giorno. E ciò soprattutto dopo le dichiarazioni del segretario dell’ONU, Guterres, il quale ha fatto letteralmente infuriare Israele, sostenendo che gli attacchi di Hamas non giungono dal nulla, ma sono l’esito terribile di un conflitto di lunga durata. Un conflitto di lunga durata in cui, sia chiaro, nessuna delle due parti è esente da responsabilità e, diciamolo pure, da colpe anche gravissime. Nel tempo della manipolazione organizzata e della violenza del pensiero unico a supporto dei rapporti di forza egemonici, anche questa ovvia banalità diventa rivoluzionaria e controcorrente. E lo diventa per il semplice fatto che osa far valere una prospettiva storica, antitetica a quella teologica oggi imperante, cioè quella che presenta una battaglia astratta tra il principio del bene e il principio del male, dove l’Occidente incarnerebbe sempre per principio il bene, e chiunque non sia allineato con l’Occidente rappresenterebbe invece immancabilmente il male.

La prospettiva di Guterres è stata difesa tra gli altri da Sánchez, presidente spagnolo, che ha ricordato come oltretutto quella prospettiva sia maggioritaria presso la popolazione. Ma oltre a essere maggioritaria, mi permetto di aggiungere, è anche giusta e inconfutabile, dacché richiama l’attenzione sulla storicità e sulla concretezza dei rapporti di forza, senza naturalmente legittimare in alcun modo il terrorismo, ma semplicemente ricordando che la sua esplosione endemica avviene nel quadro di un conflitto in atto da tempo. Un conflitto in atto da tempo in cui ciascuna delle due parti ha utilizzato e continua a utilizzare il terrorismo come normale metodo di guerra.

Non è forse vero che anche la reazione di Israele è stata essa stessa terroristica nei modi e nelle conseguenze? Non è forse vero, ancora, che la sola soluzione possibile consiste nell’assegnare uno Stato ai palestinesi riconoscendone il diritto di esistere? Insomma, non viviamo forse nell’end of history, nell’accezione assegnata all’espressione da Francis Fukuyama che la coniò nel 1992?

Viviamo però nel tempo della fine del pensiero storico, dato che sempre più appare limpidamente come l’uomo occidentale non sia in grado di ragionare storicamente e dunque, anziché ricostruire i fatti nel loro sviluppo, nella loro genesi, nelle loro conseguenze, preferisce ricorrere a una metafisica astratta del bene contro il male. Non sarebbe difficile in vero vedere come la guerra d’Ucraina, ad esempio, lungi dall’essere la lotta del bene occidentale contro il male russo, scaturisca da un processo storico che soprattutto negli anni ’90 ha preso a svilupparsi, con l’occupazione degli spazi post-sovietici da parte dell’Occidente. E analogamente non sarebbe arduo constatare come il conflitto tra israeliani e palestinesi, che con l’attacco di Hamas ha visto una sua recrudescenza, non è qualcosa di nato oggi, ma è invece un conflitto che dura da tempo, che anzi si perde nella notte dei tempi, possiamo dire, da quando nel secondo novecento è cominciato nella forma in cui ancora oggi lo conosciamo. Insomma, forse un buon principio potrebbe essere quello del ritorno al pensiero storico.

Radioattività con Diego Fusaro. Lampi del pensiero quotidiano.