Giorgetti bacchetta Lagarde per l’aumento dei tassi, ma non la dice proprio tutta

Negli ultimi giorni è stata ripetuta sui media, in modo abbastanza ossessivo, una frase pronunciata dal ministro Giancarlo Giorgetti riguardo allo spazio di manovra della prossima legge di bilancio. Secondo il ministro, se i tassi fossero rimasti quelli dell’anno scorso oppure di due anni fa, avremmo avuto 14 o 15 miliardi in più da destinare al fisco. Ma le cose non sono andate così.

È importante considerare che il rialzo dei tassi operato dalla Banca Centrale Europea a luglio 2022, con successivi 10 rialzi consecutivi per un totale di circa 450 punti, è stata una reazione all’aumento dell’inflazione che la BCE pretendeva di contenere, di ridurre.
Ricordo a tutti che il mantra della Banca Centrale Europea è la difesa dell’euro, del valore dell’euro. E chiaramente se c’è una svalutazione monetaria, il valore di quella moneta, come di qualsiasi altra moneta, si riduce. Da qui l’ossessione della Banca Centrale Europea del 2% di inflazione, che è un valore target, così, “fissato”, senza una vera pretesa di scientificità, ma di prassi.

Però dobbiamo ricordare che l’inflazione ha anche degli effetti positivi sul bilancio pubblico, come l’aumento delle entrate tributarie, che sono aumentate dell’8,6% nei primi sette mesi dell’anno. Quindi dobbiamo dare le informazioni un po’ complete degli elementi positivi e degli elementi negativi. Inoltre il costo medio del debito pubblico rimane relativamente basso grazie alla durata media, che richiederà circa sei anni per recepire completamente gli aumenti dei tassi. Quindi gli aumenti dei tassi non è che si traducano immediatamente sul costo del debito pubblico, perché bisogna ragionare anche di durata e di medie.

Tutti questi ragionamenti consentono una previsione abbastanza ragionevole di sostenibilità del cosiddetto rapporto debito-PIL fino al 2025, che vi ricordo essere uno dei mantra dell’Unione Europea. Il che ci porta a dire che dobbiamo comunicare i dati in modo completo e non soltanto concentrarsi su una parte, per esempio l’aumento delle spese, altrimenti si rischia di diffondere soltanto degli slogan che diventano parziali e fuorvianti. Ma il fatto che noi viviamo in economia in un mondo di slogan è ormai una cosa alla quale dovremmo essere abituati, a partire dai famosi rapporti deficit-PIL del 3%, debito-PIL del 60% e via discorrendo, circa tutte le necessità che che sono state imposte dai mantra dell’Unione Europea.

Malvezzi Quotidiani – L’Economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi