Il nuovo PD di Elly Schlein è pronto. L’agenda è chiara: “Dalla debuttante Diop alla veterana Turco: le donne del PD rispondono all’appello sulla sorellanza di Schlein“. Il titolo di Repubblica fa capo a questo sottotitolo: “La segretaria Dem vuole un partito di sinistra, contro le disuguaglianze e femminista“.
Ma sebbene qualcuno resti perplesso al “di sinistra”, per una definizione che ormai pare anacronistica ai più, c’è da ragionare anche sul termine “femminista”.
Per Fabio Duranti è insita la contraddizione in seno a chi parla di uguaglianza per poi fare le fazioni: “Oggi sembra che alcuni diritti siano più diritti di altri. Alcuni vengono tutelati, altri meno. Non si capisce bene il perché“.
E qui la riflessione su Schlein: “Proprio i paladini dei diritti e delle uguaglianze, poi dicono cose che in realtà generano disuguaglianze“.
Anche dal punto di vista dei dati, la situazione non cambia: se è vero (e dimostrato) che molte violenze vengono subite da donne in quanto donne, è altrettanto appurato che gli svantaggi, nel 2023, sono notevoli anche per gli uomini: più arresti, più omicidi, più possibilità di essere condannati in tribunale, per non parlare delle cause che allontanano dalla famiglia, vengono subiti da uomini. Il tutto non certo a negare violenze e disuguaglianze, ma a svilire una lotta tra “parti” che si contraddice logicamente.
La questione resta complessa e il dibattito ampio. La domanda quindi va posta anche dal punto di vista filosofico: come si può parlare di uguaglianza impostando un linguaggio politico sulle fazioni? Quasi a far intendere che tutte le fazioni sono uguali, “ma alcune sono più uguali di altre“.