Nel momento più importante, il gesto più eclatante. Non pago di aver ottenuto un mondiale casalingo in un periodo dell’anno inedito, non pago del silenzio omertoso della FIFA sull’assenza di diritti per le minoranze di genere e sulle morti di migliaia di operai per costruire cattedrali nel deserto, non pago di aver polarizzato l’attenzione del mondo intero sul suo Paese, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani ha voluto, una volta di più, prendersi la scena. E lo ha fatto nel clou della premiazione, quando tutti gli occhi del pianeta erano puntati sulla star del torneo, Leo Messi.

L’emiro del Qatar, che nel calcio è anche famoso per essere il proprietario del Manchester City, ha pensato di glorificare ulteriormente il suo Paese. Il tutto con la complicità di Gianni Infantino, che al ruolo di presidente della FIFA, in questa kermesse, ha preferito quello di scudiero dei petrolieri. Al momento della premiazione, il capitano dell’Argentina è stato trattenuto dai due. Prima di porgergli l’agognata coppa, Al Thani e Infantino lo hanno vestito con un bisht. Si tratta di un capo di abbigliamento tipico della penisola araba e del Medioriente che viene indossato da leader e capi tribù in occasioni celebrative. In questo caso, una doppia celebrazione: oltre alla finale del Mondiale, il 18 dicembre è la festa nazionale del Qatar. Un omaggio alla “cultura locale”, dicono gli organizzatori. L’ennesimo, viene da pensare, dopo il divieto last minute alla somministrazione di birra e lo stop alla fascia da capitano arcobaleno. Se nel caso del luppolo a infuriarsi è stato soprattutto lo sponsor, l’americana Budweiser, e in quello della fascia il tutto si è risolto con le timide proteste di qualche sparuta federazione e una foto con la mano in bocca della nazionale tedesca, l’aver ammantato Messi con un simbolo del Qatar è parso un atto di deliberata arroganza

Un’imposizione, mascherata da protocollo, da parte di uno Stato che, da quasi 20 anni, sta affidando la sua propaganda al mezzo più potente del mondo: il calcio. Dall’acquisto del City fino a quello del Paris Saint Germain, dall’affaire Neymar fino alle manovre dubbie che hanno portato il Mondiale nella penisola qatarina, fino alla longa manus che sembra penetrare fin dentro il Parlamento europeo, quella del bishit è la prova evidente e plastica del desiderio del Qatar di usare il calcio come leva della sua volontà di potenza. Per la prima volta nella storia, nella foto della Coppa alzata al cielo non ci sono solo i colori della squadra sul tetto del mondo, ma anche i simboli di uno Stato che, grazie ai suoi soldi, sta comprando ben più di uno sport.