La partita è a suo modo bella, sicuramente vibrante e incerta è l’attribuzione del dominio reale, che non passa solamente per i dati del possesso palla, come di consueto sbilanciati a favore della Spagna e del suo programmatico, identitario sequestro della sfera. I tedeschi, che non possono permettersi l’errore che sarebbe già decisivo, da parte loro chiamano gli avversari sul terreno di una soglia agonistica via via più elevata.

Trascorsa da poco l’ora di gioco, il velluto prevale sul cemento, per così dire: sulla dorsale sinistra Jordi Alba chiama Morata, fresco di ingresso e affamato di conferme, all’ingresso in area con un tracciante che Süle legge correttamente ma che gli evapora sotto lo scarpino: l’attaccante dell’Atletico Madrid soffia la piuma di una carezza d’esterno alle spalle di Neuer, mordendo l’istante dell’anticipo e domando l’impercettibile rimbalzo.

Carezzandola per blindarla con l’involucro morbido del suo fraseggio, la Roja convince la palla a non trasformare in efficacia la rabbia dei tedeschi. Rabbia che una carezza di Busquets, stavolta con la mano, alimenta con qualche ragione.

Cominciano i calcoli circa il filo esile di speranza che resterebbe agli uomini di Flick in un girone aperto a tanti epiloghi, quando Niclas Füllkrug, ragazzone del Werder Brema e prototipo del centravanti a cui si rinuncia spesso a parole ma al quale si ricorre a volte per disperazione, deposita sotto la traversa un pareggio strappato con la consapevolezza di chi ha attraversato la frustrazione senza mai contemplare l’ipotesi della resa, a fronte di un avversario a tratti un po’ troppo compiaciuto del suo predominio.

Pur in una versione non memorabile, i tedeschi insegnano al Mondiale che i gatti hanno meno vite di loro. E alla fine potrebbero persino vincerla. Restano i difetti, torna una parte di entusiasmo in vista della gara con la Costarica, buttando un occhio alla contemporanea Spagna – Giappone.

Prof. Paolo Marcacci