Sono in molti a pensare che dietro il danneggiamento dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 ci possa essere una responsabilità più o meno diretta degli Stati Uniti. Gli indizi, in particolare, sarebbero un video di Joe Biden del 7 febbraio scorso e uno di Victoria Nuland (colei che ha gestito la questione ucraina per il Dipartimento di Stato americano) dello scorso gennaio, in cui dicevano che qualora la Russia avesse invaso l’Ucraina, il gasdotto sarebbe dovuto essere fermato. Ma non è tutto qua. A spiegare la complessa situazione, l’esperto di geopolitica ed energia Demostenes Floros.

Il possibile via libero tedesco

“Un altro indizio è il tweet dell’ex Ministro degli Esteri polacco, Radosław Sikorski, in cui si è congratulato con gli USA. In ogni caso, da un punto di vista economico va evidenziato che questo sabotaggio – che ogni probabilità porterà alla totale distruzione del Nord Stream 1, mentre abbiamo qualche dubbio su una delle quattro linee del Nord Stream 2, che potrebbe essere ancora attiva – determina la rottura dei rapporti energetici tra l’Unione Europea e la Russia. Questo è l’elemento centrale dal quale partire, e al quale va aggiunto un altro aspetto importante che riguarda da vicino la Germania: nelle ultime settimane, la Confindustria tedesca, così come diversi parlamentari del Bundestag, hanno apertamente fatto riferimento alla necessità di dare finalmente semaforo verde al Nord Stream 2. E noi abbiamo visto proprio come in conseguenza del sabotaggio questa ipotesi sia sostanzialmente morta sul nascere”.

Possibili tensioni in Europa

A funzionare, invece, è un altro gasdotto che va dalla Norvegia alla Polonia, che potrebbe rappresentare un problema per l’Italia: “Avrà una capacità di trasporto di 10 miliardi di metri cubi. La Polonia riuscirà quasi del tutto a diversificare e a sostituire le forniture russe. A dir la verità, Varsavia dovrà comprare anche gas naturale liquefatto (GNL) a un prezzo maggiore, ma riuscirà a sostituire la gran parte del gas russo in questa maniera. Il problema però è che il fornitore norvegese, che ha sostituto la Federazione russa come principale fornitore dell’Europa, sta già pompando ed esportando al massimo delle proprie capacità, per cui il rischio è che questi 10 miliardi che vanno in direzione della Polonia verranno meno rispetto alle necessità del resto dell’Europa continentale, creando e acuendo la tensione all’interno dell’Unione Europea. Tensione che sta aumentando non solo a Nord, ma anche a Sud: il gas che ci sta arrivando in più dall’Algeria ci sta arrivando perché prima arrivava alla Spagna. Per cui, è una situazione potenzialmente di tensione”.

La possibile soluzione

“La situazione drammatica dal punto di vista energetico cominceremo a vederla molto meglio dal 1 ottobre in poi, cioè da quando arriveranno le prossime bollette. Per quanto riguarda il price cap, neanche noi analisti abbiamo capito cosa voglia fare l’Europa: una cosa è il price cap all’importazione del gas russo, altra cosa è il price cap al TTF. Dopodiché, bisogna decidere se applicarlo ai contratti di breve o di lungo periodo, a tutta l’Europa o a parte di essa. Su tutto questo, i Paesi europei hanno posizioni diverse: quelli del Sud sono per un price cap, quelli continentali (a partire dall’Olanda, che è sede della Borsa del TTF) non lo vogliono, la Germania un giorno lo vuole l’altro no, mentre alcuni Paesi dell’Est, a partire dall’Ungheria, si fanno i fatti propri, portando avanti i loro interessi nazionali, e hanno firmato qualche giorno fa un altro contratto con la Gazprom che li coprirà per il prossimo inverno. La soluzione per limitare i danni potrebbe essere non quella di porre un tetto al prezzo del gas, bensì quella di limitarne la volatilità, come avviene in realtà in tutte le Borse mondiali. Si tratterebbe quindi di inserire un meccanismo per cui quando il prezzo aumenta o diminuisce, per esempio, di oltre il 10%, le contrattazioni vengono bloccate.