Sempre più stanno crescendo in queste ore le tensioni tra Cina e Stati Uniti e stanno crescendo in quel punto caldo della nuova Guerra fredda che è Taiwan.

La Guerra fredda nella quale ci troviamo è, da un certo punto di vista, un revival di quella precedente anteriore al venir meno della divisione in due blocchi del mondo (Berlino 1989). Contrariamente a quel che veniva teorizzato da Francis Fukuyama e da una folta schiera di aedi dell’eterno ritorno del libero mercato sembra che la storia abbia ripreso a correre veloce come mai prima, quasi calzando gli stivali delle sette leghe (per riprendere una fortunata espressione che fu di Hegel).

Sembra che anche la Guerra fredda sia tornata in un clima pre-1989, quasi come se il muro di Berlino non fosse mai caduto, quasi come se fosse ancora lì in piedi con la sua struttura in calcestruzzo a dividere in due il mondo: da un lato il blocco euro-atlantista, quello capitalistico occidentale; dall’altro il blocco sino-russo, quello che un tempo si sarebbe detto comunista, che sta aggregando intorno a se una moltitudine di stati sovrani non allineati come l’Iran e il Venezuela. Insomma siamo tornati realmente nella Guerra fredda e non è una novità che gli Stati Uniti cerchino di provocare la Cina. Gli Stati Uniti ormai da molto tempo cercano di attuare la loro politica imperialistica di ingerenza a Taiwan, con una chiara funzione anti-cinese. Lo fanno da tempo – vuoi con Trump, vuoi con Biden – e lo fanno appoggiando, sostenendo e magari anche foraggiando sommosse e ribellioni rigorosamente colorate. Sommosse e ribellioni che si fingono nate dal basso, dal popolo e che in realtà sono ampiamente decise dall’alto, in chiara funzione anti-cinese strategica e geopolitica. Il solo fine, in effetti, di questi movimenti di ribellione è favorire la destabilizzazione della Cina, ciò che Washington sogna appunto da molto tempo.

Quel che accadde nel 1989 in piazza Tienanmen era un segnale di questa volontà statunitense di destabilizzare la potenza cinese, magari anche di favorirne il transito sotto l’ordine mondiale a trazione atlantista. Gli Stati Uniti questo vorrebbero: che il mondo intero fosse un’unica grande colonia sottomessa a Washington, unica nazione titolata ad esistere (come disse apertamente nel 1997 Bill Clinton). Vorrebbero allora una Russia ridotta a dépendance della civiltà del dollaro ed egualmente vorrebbero una Cina ridotta a semplice colonia del mondo dell’hamburger, della monarchia del dollaro. Sotto questo riguardo piazza Tienanmen, non ci stancheremo di ribadirlo, fu l’equivalente (ma con esito fallimentare) di quel che accadde con la fine dell’Unione Sovietica: vale a dire, appunto, un tentativo di rivoluzione colorata.

Chiaro come il sole che gli Stati Uniti insisteranno a oltranza su Taiwan, nel tentativo (per altro aperto) di provocare la Cina, come già stanno facendo in queste ore con l’invio di Nancy Pelosi. La Cina ha già da tempo superato la civiltà del dollaro quanto a potenza commerciale, e ciò è letteralmente innegabile, tuttavia la civiltà del dollaro domina ancora sul piano militare ed è particolarmente preoccupante questo dettaglio dacché potrebbe essere questa la via con cui la civiltà del dollaro si troverà a contrastare una Cina ormai superiore sul piano economico e commerciale.

Come dire: la Cina che ormai è superiore sul piano economico e commerciale potrà essere fronteggiata dagli Stati Uniti forse solo in maniera militare, con la guerra. Più che mai allora dobbiamo sperare oggi, nel concreto rapporto di forza globale, nella cordiale intesa fra Russia e Cina. Alludo a quell’impresa che può garantire l’emergenza e poi anche la persistenza di un mondo multipolare, intendo dire di un mondo non sottomesso all’imperialismo statunitense, un mondo articolato in forma poliarchica (con più blocchi) non soltanto sottomesso alla civiltà del dollaro secondo il nuovo ordine mondiale quale stava prendendo forma con il 1989 e come ora la cordiale intesa tra Russia, Cina e tutti gli altri governi non allineati che vorranno aggregarsi e in grado di contrastare. Insomma dobbiamo più che mai sperare nella cordiale intesa fra Russia e Cina in funzione antiatlantista contro l’imperialismo made in USA.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro