La tassa sugli extraprofitti potrebbe essere una soluzione all’impennata dei prezzi sull’energia. Tassando i profitti delle aziende che hanno guadagnato più del previsto dall’impennata dei prezzi si possono recuperare risorse per poi utilizzarle a sostegno di chi con l’aumento del prezzo di gas e luce ha perso soldi. Sulla carta è una buona idea ma nella realtà purtroppo non è così semplice. Il provvedimento doveva liberare 10,5 miliardi e invece ne sono entrati poco più di un decimo. Come è possibile? Semplicemente la maggior parte delle aziende ha deciso di non pagare, scommettendo sull’incostituzionalità della misura e presentando una valanga di ricorsi.

Secondo Antonio Maria Rinaldi, europarlamentare con un passato nelle alte cariche dirigenziali dell’Eni, è difficile anche sapere a quanto ammontano questi extraprofitti e fa l’esempio del suo ex datore di lavoro: Non si sa a quanto ammonti il guadagno dell’Eni. Mi risulta da fonti giornalistiche che la Presidenza del Consiglio – quindi Draghi, non l’ultimo parlamentare o giornalista – ha chiesto di sapere il prezzo e non gli è stato detto. Tanti anni fa quando lavoravo all’Eni passavano sul tavolino tante carte e neanche noi – mi permetto di dire che ero ai massimi livelli dirigenziali – sapevamo esattamente, perché era tutto segretato (segreto di Stato)”.

Perché la tassa non viene pagata?

Per tornare alla famosa tassa, secondo l’europarlamentare della Lega “non è stato fatto nel migliore dei modi perché parla genericamente di profitti. Cosa significa? Se qualcuna di queste società – non parlo solo dell’Eni – fanno un profitto anche vendendo una società esso rientra nel calderone dei profitti. In Italia è successo che queste aziende – che avrebbero dovuto versare al 30 di giugno la bellezza di 10,5 miliardi che comunque sono serviti per abbassare un pochino le accise, ecc. – ne hanno pagato molto meno. Perché? C’è il precedente della Robin Hood Tax e ci sono stati delle eccezioni costituzionali. Siccome ci sono questi presupposti gli altri hanno detto ‘non pago e aspetto’.

In ogni caso l’Eni non ha fatto ricorso, forse perché “il 30 % è dello Stato. Nelle casse dello Stato va anche il dividendo che sarà sicuramente bello corposo. Da un parte quindi è vero che hanno fatto gli extraprofitti ma è anche vero che lo Stato incasserà una parte di questi. Quindi se procedono incassano di meno. È tutto un gioco di scatole cinesi”.

Il tetto al gas

C’è chi, tra le varie soluzioni proposte, chiede di mettere un tetto al gas come soluzione al problema dell’innalzamento dei prezzi. Anche qui “ci sono dei problemi. Non si può fare per un motivo molto semplice: se noi mettiamo un tetto al gas succede che nessuno vende più gas a noi. Quindi bisogna farlo a livello europeo, visto e considerato che l’Europa tutta si trova nelle medesime condizioni, in primis la Germania che è combinata peggio di noi. Magari ci riusciamo, ma è anche vero che l’Unione Europea è da 8 mesi che sta pensando a come fare e non ci sta riuscendo. Altra cosa che mi da fastidio è che per il 9 di settembre sarà convocato un Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia a Praga. Ma io l’avrei convocato stanotte, entro il 9 non si sa quello che succederà. Signori datevi una svegliata”.

“In Italia c’è un sistema per il quale il prezzo dell’energia è legato al prezzo del gas, nonostante il gas contribuisca per il 40% alla produzione dell’energia elettrica. Perché succede? In Italia c’è a anche un 30% di produzione elettrica legata alle famose rinnovabili, anche qui vige lo strano sistema del prezzo marginale (cioè il riferimento del prezzo è quello del gas). Visto che il gas adesso è a questi livelli anche la produzione di energia fatta da queste rinnovabili – che costa molto meno – viene pagata allo stesso prezzo.

La borsa di Amsterdam che penalizza tutti

Quanto della situazione attuale è legato alla dipendenza dal TTF di Amsterdam? “C’è una motivazione storica. Il più grosso giacimento di gas una volta era proprio in Olanda e quindi lì si formava il prezzo. Questo giacimento l’hanno chiuso da tanto ma è comunque rimasta la borsa. Questa presenta un’opacità incredibile nella formazione del prezzo. Vengono scambiati giornalmente quantitativi irrisori ma quel prezzo viene preso da tutti quanti i gestori come riferimento per decidere il prezzo del gas. Bisogna trovare un altro modo perché va da sé che un sistema di questo genere da adito a delle speculazioni spaventose. In qualsiasi borsa ci sono delle regole per le quali se il prezzo oscilla troppo (intorno al 10%) quella contrattazione viene sospesa, ma non lì: abbiamo visto delle giornate con un escursione del 15-20%. Mi meraviglio che nessuno prenda provvedimenti”.

La soluzione secondo Rinaldi

“Bisogna sganciare la contrattazione dal mercato del TTF di Amsterdam e bisogna sganciare il prezzo dell’energia solo dal gas ma tenendo conto anche delle altre risorse”. Si potrà mai ottenere ciò? Secondo Rinaldi: “Gli stati devono prendere la decisione che nel loro territorio non si prenda più a riferimento quel mercato. Non è che deriva da una regola europea che il prezzo del gas lo decide Amsterdam, è una consuetudine. Come si può abbassare il prezzo? Così già vedremo i prezzi dimezzati, però non basta perché mi rendo conto che l’azienda, il commerciante, chiunque lavori nel mondo produttivo affronta dei prezzi insostenibili. Mentre io come privato cittadino posso anche farmi la doccia fredda e non accendere i riscaldamenti, l’azienda non può risparmiare, consuma esattamente quello che gli serve per la produzione ed è così da sempre. Se a questi prezzi non è sostenibile la sua produzione, se perde la sua competitività a causa dell’aumento dei prezzi, che fa? Chiude? Manda in cassa integrazione il personale? Quale costo avrebbe per lo stato?”

Il parlamentare conclude con una critica a Draghi che “l’anno scorso disse ‘bisogna distinguere debito buono e debito cattivo’. Esiste debito più buono di questo? Che aiuta le imprese e le famiglie? La differenza fra quello che si porrà come limite di prezzo massimo da far pagare alle famiglie e alle imprese lo deve mettere lo Stato. L’Unione Europea può dire: benissimo questo surplus in più non lo calcoliamo nel computo del debito perché è un debito buono. Vediamo se mi ascoltano”.