“Ma sei un femmino?”, questa è la domanda della piccola Emma, a soli due anni e mezzo, fatta al papà Stefano. In occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia e ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, il giornalista e scrittore Stefano Ferri, ospite a Lavori in Corso, racconta la sua quotidianità da crossdresser. Un termine che letteralmente significa ‘vestire in modo opposto’ e si riferisce a “una persona che indossa abiti convenzionalmente riservati all’altro sesso“. Lo scrittore si definisce tale, ma solo per poter fornire una prima spiegazione a chi, incuriosito, si pone delle domande e non è mai entrato in contatto con questo mondo. ‘Crossdresser’, infatti, non è una parola adatta ad indicare quello di cui Ferri parla nel suo intervento, che inoltre afferma “io non sono gay”. Ha infatti una moglie e una figlia, che pur avendo provato un certo disagio iniziale, hanno accettato questa sua condizione, non una scelta, e gli sono sempre rimaste accanto.

A partire dalla fine dell’800, le donne hanno iniziato a indossare abiti da uomo, imbattendosi in duri processi e detenzioni; oggi, è un fatto socialmente accettato, ma lo stesso ancora non vale per gli uomini. Quello che il giornalista deve affrontare è un “muro di pregiudizi“, tuttavia sempre meno difficile da abbattere dal momento che i giovani ragazzi di oggi “cresciuti con internet, con un occhio sul mondo incomparabilmente più ampio ed efficiente“, non sono gli stessi di quelli di 20 anni fa. Oggi, si parla di Gender Fluid, una generazione completamente priva di ogni pregiudizio e sono proprio loro che spingono verso una società più aperta e priva di opposizioni.

Tacchi alti e tubini fanno parte della quotidianità di Stefano e lo racconta al pubblico nel suo libro “Crossdresser. Stefano e Stefania, le due parti di me”, una storia scritta con profonda sincerità, a partire dall’iniziale momento in cui il protagonista è animato da un odio verso uomini e donne risolti, poiché dentro se stesso governava quello che lui definisce ‘un mix‘ che non riusciva ancora a gestire. Grazie alla psicoterapia, Stefano ha trovato il modo di far emergere il suo bisogno di accostarsi alla propria parte femminile rivoluzionando completamente il suo guardaroba. Oggi è una persona serena e felice, lui stesso afferma “una persona serena è un dono per la società e una repressa è una minaccia. Questo è il mio messaggio”.

“Crossdresser è una persona che indossa abiti convenzionalmente riservati all’altro sesso, una cosa che per prime hanno fatto le donne nell’epoca moderna (a fine ‘800) e per questo incarcerate, processate e detenute per indecenza. Oggi per loro è diventato normale; infatti, non esiste donna in questa parte dell’emisfero che non abbia nel suo guardaroba capi ispirati o addirittura presi dal guardaroba maschile. Gli uomini ancora non lo hanno fatto, siamo in pochi e io sono uno di quelli. Indosso gonne, tailleur e tacchi a spillo. In realtà, anche la parola ‘crossdresser’ è un errore, perché per esempio nessuna donna in jeans, sneakers e maglietta si definirebbe una ‘crossdresser’, ma non è neanche giusto usare questo termine. Se io uso questo termine è perché devo sfondare un muro di pregiudizi. Intanto la gente mi vede e non trovando una tipologia umana alla quale ricondurmi, chiede ‘chi sono’ e allora dico ‘crossdresser’ per dare una definizione che rompa il ghiaccio. Il secondo pregiudizio è legato ai maschi che indossando cose femminili nell’immaginario collettivo sono gay, allora per mettere avanti il fatto che è una stupidaggine pensare che sia una loro esclusività, così come lo sarebbe pensare che una donna in jeans, sneakers e maglietta sia omosessuale, dico sempre ‘io non sono gay’. Serve semplicemente per aprire gli occhi su una realtà che incontra troppo spesso un’opposizione e pregiudizi”.

” Va detto che oggi nel mondo sta venendo fuori una Generazione Fluida (Fluid Generation), formata dai ragazzini di oggi, che però diventeranno adulti, i quali giustamente sono privi di questi pregiudizi. Si vede che c’è una testimonianza sempre più vasta e intensa da parte di tanti genitori a favore di una società aperta, in cui le persone non vengano indebitamente etichettate per cose che etichette non sono e non devono essere. Esiste anche il discorso relativo alla rete, perché questi giovani ragazzi sono cresciuti con internet, con un occhio sul mondo incomparabilmente più ampio ed efficiente rispetto a quello che abbiamo avuto noi. Ho quasi 56 anni e quando ero piccolo io internet non esisteva e mettere dei pregiudizi a noi bambini era più semplice, oggi è più complicato. Per me sarebbe stato meglio accettare prima la mia diversità invece del solo il crossdressing, perché io non sono diventato crossdresser da bambino, ma che avevo già 36 anni e questa è una cosa che si è abbattuta naturalmente come una valanga su tutto quello che avevo costruito fino ad a quel momento, perché il mondo di oggi, ma ricordiamoci anche quello dell’epoca di 20 anni fa, rifiuta una cosa del genere e io ho dovuto veramente reinventare la mia vita. Per fortuna avevo sposato una donna eccezionale che aveva continuato a starmi accanto”.

“C’è stato un episodio di violenza di gruppo, nel quale non sono stato toccato, ma ho solo subito insulti ed intimidazioni. Ho subito discriminazioni sul lavoro e nella vita privata. Cose odiose e arrivo a usare la parola razziste, frasi del tipo ‘tu qui non entri’. Parliamoci chiaro, non c’è nessuna differenza tra uno come me e le persone di colore americani che fino agli anni ’60 non potevano entrare nei ristoranti, è la stessa cosa. Si sconfina veramente nel razzismo. Personalmente non ho mai usato la dicitura LGBT, perché secondo me, in questo caso, è impropria. Noi siamo tutti persone e nessuno dovrebbe essere giudicato e discriminato per il proprio ‘mix maschio-femmina’ che ha in testa, come lo chiamo io. Questo mix impatta sulle scelte sessuali, sui nostri comportamenti e tante alte cose, ma nel momento in cui non è pericoloso, cioè non conduce a conseguenze realmente problematiche per la società, non va usato contro di noi, anzi, dobbiamo tutti quanti incoraggiarci a vicenda a vivere in libertà il nostro mix, la nostra sessualità, le nostre tendenze quali che esse siano perché non le abbiamo scelte noi, dobbiamo viverle e solo dopo la piena accettazione della cosa riusciamo ad essere persone serene. Una persona serena è un dono per la società e una repressa è una minaccia. Questo è il mio messaggio”.

“In qualche raro caso mi hanno invitato in una scuola per portare la mia testimonianza, ma questo perché sono i giovani in qualche modo a premere per una società aperta. I giovani di oggi non sono gli stessi di 20 anni fa. Si arriverà a un abbigliamento veramente ‘tutto per tutti’, perché siamo stati noi esseri umani a dire che la gonna e i tacchi a spillo sono solo femminili, quindi noi un giorno arriveremo a rimuovere questo ostacolo artificiale, che impedisce a più uomini di quanto non si pensi di essere loro stessi. È una questione di identità. Se vediamo una ragazza in jeans, maglietta e sneakers, vediamo comunque una ragazza, non un uomo, ma se vedi me indossare gli stessi indumenti il crossdresser non lo vedi più e io voglio che si veda. È l’affermazione della mia identità e questo è importante per capire il perché uno come me non riesce proprio a indossare abiti del suo stesso sesso. Ho una figlia che ha capito la mia identità ancora prima di me, aveva due anni e mezzo. U giorno mi ha chiesto se fossi un ‘femmino’ e questa, ancora oggi, mi sembra la miglior definizione sintetica che sia mai stata data su di me. Oggi a 13 anni fa parte della generazione gender fluid. Mi aspettavo di avere dei problemi, invece mi rendo conto che potrei attraversare classi intere di ragazzini della stessa età di Emma senza che se ne accorgano neanche. È un problema che loro non avvertono. Sono una persona. Così come le donne non vogliono essere giudicate per come si vestono, ma per quello che fanno, io desidero la stessa cosa”.