L’euro spegne le sue 20 candeline. Nel gennaio del 2002 entrava ufficialmente in vigore la moneta unica in tutto il territorio dell’Europa. Un evento accolto in pompa magna dai vertici istituzionali del Vecchio Continente. Una delle figure più schierate dalla parte della nuova valuta fu senza dubbio Romano Prodi che, da Premier prima e da Presidente della Commissione Europea poi, non nascose mai la propria posizione favorevole alla sepoltura della Lira.

Il passaggio di consegne ha portato ad una crescita o ad un generale peggioramento delle condizioni socio-economiche dei singoli cittadini? Il dibattito è più che mai aperto. La discussione verte sull’analisi accurata di parametri tipici e fondanti di un qualsiasi sistema economico. Dal PIL pro capite reale al grado di povertà diffuso passando per la voce probabilmente più controversa: il lavoro.

La ricorrenza dell’avvento dell’euro è stata affrontata, senza filtri, dall’economista Valerio Malvezzi nel corso di Un Giorno Speciale con Fabio Duranti e Francesco Vergovich.

Numeri, grafici e statistiche inchiodano le presunte verità dettate inconfutabilmente dal mainstream neoliberista

Il documento che mette alle corde la santificazione dell’euro

Io partirei dai dati. C’è un anniversario molto importante che alcuni cittadini italiani potrebbero aver dimenticato. Oggi infatti è il compleanno dell’euro. Vorrei proporre all’attenzione degli ascoltatori questo documento, prodotto da alcuni ricercatori, che hanno pensato di omaggiarvi di questo magnifico momento. Trovo il titolo del documento, ‘Buon compleanno euro – Pillole di eresia economica’, al limite della goliardia“.

Le tre tesi illusorie sull’avvento della moneta unica

L’introduzione dell’euro si basava su tre tesi essenziali. Primo: diventeremo più ricchi. Nella seconda metà degli anni novanta si dibatteva del modello economico, del fatto che saremmo entrati in un mondo straordinario e che saremmo diventati tutti più ricchi. Da parte di qualche Presidente del Consiglio italiano si diceva: ‘Lavoreremo un giorno in meno ma sarà come se avessimo lavorato un giorno in più’. Seconda tesi: sparirà la povertà. Questo perché se i cittadini italiani sono più ricchi sparisce la miseria. Terza tesi: noi non siamo competitivi con la liretta. Quindi se vogliamo dare posti lavoro ai giovani e alle future generazioni dobbiamo entrare nell’euro perché così i vecchi andranno in pensione prima ed entreranno le nuove leve“.

La triste verità del PIL pro capite reale

C’è un indicatore fondamentale per capire se si diventa più o meno ricchi e si chiama PIL pro capite reale. Dividendo il PIL complessivo per il numero di cittadini, in tasca di quest’ultimi c’è più o meno ricchezza? Il PIL pro capite reale invece di aumentare, come è stato raccontato da quelli che ci dicevano che sarebbe stato il primo effetto dell’ingresso nella moneta unica, è diminuito. Nel primo grafico possiamo osservare i dati del 2001 e del 2020“.

Il dovere di uno Stato? Dare servizi non dividendi

Se io dico ai cittadini: ‘Voi siete azionisti perché prendete un dividendo’ sto implicitamente distruggendo il concetto stesso di Stato. Perché lo Stato non deve dare dividendi ma servizi. I cittadini italiani sono bombardati tutti i giorni da organi di informazione che sbandierano una diffusa ricchezza grazie all’euro parlando proprio di dividendo della moneta, come appunto se fossimo azionisti di una società per azioni“.

Dal 2005 al 2020 il numero dei poveri è triplicato

Nel secondo grafico analizziamo il numero di individui in povertà assoluta. Tale numero in Italia è passato dal 2005 al 2020 ad essere triplicato. In particolare sembra che le zone del Nord e del Sud siano quelle che abbiano maggiormente patito questo trend. Questi sono dati ISTAT, ma è importante il dato complessivo in base al quale da circa 2 milioni di individui in povertà assoluta nel 2005 siamo arrivati a circa 6 milioni di persone nel 2020“.

La preoccupante decrescita dell’occupazione giovanile negli ultimi 25 anni

Nel terzo grafico abbiamo una serie storica dal 1995 al 2020 sull’andamento dei posti di lavoro nel paese. In questi anni è successo non solo che l’occupazione non è cresciuta nelle fasce dai 25 ai 34 anni, è rimasta sostanzialmente stabile nelle fasce centrali, ma è un dato preoccupante che sia decresciuta soprattutto dopo la crisi del 2007-2008 l’occupazione nell’età giovanile dai 25 ai 34 anni o dai 15 ai 24 anni“.