Dice bene Agamben, ancora una volta: una libertà autorizzata non è più una libertà. Una libertà autorizzata è, semmai, una gentile concessione del potere e che per definizione è dunque sempre revocabile. Se, ad esempio, la libertà di manifestare e quella di muoversi cessano di essere libertà inviolabili e prendono a venire intese come concessioni che il potere ammette di volta in volta con scadenza e sempre possibile revoca, si crea una situazione inedita e altamente pericolosa.
Non sfugga intanto che in questa maniera si afferma l’idea che la libertà non sia prerogativa inalienabile della società civile e dei cittadini, ma appunto concessione dall’alto nella forma di libertà specifiche e di diritti particolari che vengono di volta in volta temporaneamente resi possibili dal potere per sua decisione.

Nel tempo del precariato anche le libertà e i diritti si fanno a tempo determinato, sono temporaneamente limitati alla durata dell’infame tessera verde e condizionati dal decisionismo di chi decide nello stato d’emergenza, che è già divenuto stato d’eccezione. Ovviamente, se il potere revoca le libertà, non lo fa mai se non per causa dell’emergenza, la quale diviene condizione ideale per un nuovo metodo di governo che rende inevitabile l’inaccettabile. Lo giustifica con le ragioni dell’emergenza stessa.

Solo una ragione ben pigra e dogmatica si domanda se l’emergenza non sia già da tempo uno strumento governamentale utilizzato ad hoc per imporre ciò che senza l’emergenza sarebbe più difficile imporre.
Non è davvero un mistero che con l’emergenza i cittadini impauriti accettino con resa colma di gratitudine ciò che senza l’emergenza faticherebbero anche solo a concepire.
Seguendo ancora le orme di Agamben, una volta che si imponga questo paradigma governamentale, il principio poc’anzi analizzato può essere esteso potenzialmente ad infinitum. Tutte le libertà e tutti i diritti – senza alcuna eccezione – decadono a concessioni pro-tempore revocabili in qualsiasi momento dal potere, a patto che ovviamente la revoca sia sempre presentata come volta a proteggere il superiore diritto alla vita.

Il teorema è sempre lo stesso

Così lo possiamo formulare: nell’emergenza che mette a repentaglio la vita di tutti e di ciascuno, il diritto alla salute e alla vita si innalza incondizionatamente a diritto supremo ed esclusivo.
La condizione che ne consegue è che in tal maniera si può giustificare potenzialmente la revoca di ogni altro diritto, dalla libertà di assemblea all’inviolabilità del domicilio.
La forza (per ora inscalfibile) di questo paradigma sta tutta nel fatto che esso si fonda strutturalmente sulla paura dei cittadini e sul concetto di nuda vita messa in pericolo. I cittadini, terrorizzati all’idea di perdere la mera vita, sono disposti a rinunziare a tutto: dagli affetti al lavoro, dalla dignità ai diritti fondamentali. Ed è proprio su questa paura utilizzata ad arte in chiave fobopolitica che si fonda strutturalmente il nuovo leviatano tecno-sanitario, o se preferite, il nuovo capitalismo terapeutico, stadio supremo di un capitalismo che dialetticamente passa dalla open society alla lockdown society.

A destare stupore è principalmente il fatto che i più non capiscano e si adattino supinamente con ebete euforia alla maniera del gregge evocato dalla famosa “immunità”.

RadioAttività, con Diego Fusaro – Lampi del pensiero quotidiano