Un antico e sagace motto dice che i nemici dei nostri nemici debbono considerarsi con diritto come nostri amici. Ora, io non so se questo motto sia valido sempre e comunque, ritengo tuttavia che lo si possa ragionevolmente applicare a uno di quelli che senz’altro possono definirsi i principali nemici della democrazia, intesa in chiave sociale e comunitaria: George Soros, il turbo finanziere che nel ’92 speculava sulla lira e che oggi continua a proporre la ricetta dell’open society.

Ebbene, in questi giorni George Soros ha tuonato su Twitter contro Xi Jinping. Queste le sue parole tradotte dall’inglese: “Considero Xi Jinping il nemico più pericoloso delle società aperte nel mondo”. Insomma senza perifrasi edulcoranti Soros indica il “Leader Maximo” cinese come principale nemico delle società aperte nel mondo.

Ora, tale affermazione dovrebbe indurci a una riflessione critica. Coloro i quali vanno sostenendo oggi che la Cina è il nemico principale ragionano, forse senza saperlo, proprio come George Soros e i principali agenti del turbocapitalismo no border. Vedono Xi Jinping e la Cina come principale nemico delle società aperte per una ragione semplicissima: la Cina rappresenta un baluardo di resistenza al capitalismo a stelle e strisce, la Cina non è disposta a cedere, ad arrendersi, a piegarsi alla civiltà dell’hamburger e alla sua colonizzazione imperialistica. La verità è che la Cina svolge sul piano geopolitico la parte di freno al dilagare dell’imperialismo made in USA. In vista di un mondo multipolare sottratto alla globalizzazione imperialistica americanocentrica, abbiamo bisogno di Stati nazionali resistenti, non allineati e indipendenti come la Russia e la Cina, l’Iran e Cuba, il Venezuela e la Siria. E questo si badi del tutto a prescindere dalla loro organizzazione interna, che può essere anche ampiamente criticata sotto molti aspetti.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro