Quattro chiacchiere con Paolo Valenti (Corriere dello Sport, Il Cuoio, Giocopulito), giornalista e scrittore, per parlare del suo ultimo libro: la narrazione, dall’interno e anche attraverso le voci dei protagonisti, delle varie edizioni degli Europei di calcio. 

Da Parigi a Londra: dal titolo sembrerebbe un diario di viaggio.

Per certi versi lo è: un viaggio cominciato addirittura prima del 1960, quando gli Europei videro la luce. Già, perché il suo ideatore, il francese Henry Delaunay – colui al quale è intitolata la Coppa – voleva organizzare un campionato fra nazionali europee già nel 1927, addirittura prima che si tenesse il primo mondiale. Un’incredibile storia di perseveranza che alla fine ha portato i suoi frutti: oggi l’Europeo per valori tecnici e di volume d’affari ha poco da invidiare ai mondiali.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

Ovviamente la passione per questa manifestazione. Contrariamente ai trend oggi più in voga tra gli appassionati di calcio, su di me le competizioni tra nazionali esercitano un fascino enorme. Europei e mondiali hanno l’incredibile capacità di unire interi Paesi, cosa che a tornei pur spettacolari come può essere la Champions League manca. Quella sensazione di coinvolgimento collettivo, del sentirsi parte di qualcosa di più grande che ci trascende e che viene convogliato nel tifo per la propria nazionale lo possono vantare solo quelle due manifestazioni. Volevo dare un contributo al racconto delle storie che gli Europei hanno generato dal 1960 ad oggi: paradossalmente c’è poca letteratura sul tema al contrario del panorama fittissimo di libri che è stato scritto prendendo spunto dai mondiali.

Cosa ci si può aspettare dalla lettura di queste pagine?

Ho cercato soprattutto di riprodurre il mood tipico di ogni edizione. In fondo, se si vuole avere un’idea meramente storica degli Europei, e con questo intendo la conoscenza di risultati, classifiche e marcatori, la consultazione dei siti web e di Wikipedia è sufficiente. Io ho voluto scavare nel sapore del tempo e stimolare la curiosità dei lettori: ogni capitolo inizia con un’introduzione che riporta gli eventi salienti dell’anno in cui si sono svolte le varie edizioni dei Campionati europei e che non sono strettamente legati al calcio. Poi mi sono soffermato sulle curiosità di cui spesso non siamo a conoscenza. Tanto per citarne una: lo sapevi che il giorno prima della finale contro l’Unione Sovietica del 1988 i giocatori olandesi andarono a vedere un concerto di Whitney Huston? O che nel ritiro di quell’Europeo Altobelli e De Napoli erano i giocatori che combinavano più scherzi nel gruppo di Vicini? Poi c’è la parte più legata al campo, quella nella quale sono tracciati i profili dei campioni migliori di ogni edizione e le considerazioni tecnico-tattiche.

Mi pare di capire che non ci sia solo narrazione nel testo.

Vero. Chi scrive può essere bravo nel raccontare i fatti, interpretarli e mettere in evidenza gli aspetti meno noti degli eventi che tratta. Ma niente sa dare al lettore la sensazione di conoscenza di una situazione come le parole dei protagonisti che l’hanno vissuta. Ecco perché ho ritenuto importante intervistare alcuni dei calciatori che hanno partecipato agli Europei.

Chi sei riuscito ad avvicinare?

Su tutti mi fa piacere evidenziare tre campioni del mondo come Zoff, Tardelli e Franco Baresi. Ma nel libro sono presenti anche le risposte alle domande che ho posto ad altri protagonisti che, nelle varie edizioni, hanno avuto la fortuna, e la bravura, di indossare la maglia azzurra.

Dalla storia all’attualità: che Europeo credi che possa disputare la Nazionale di Mancini?

Penso che farà una bella figura. Mancini è stato bravo a ricostruire intorno alla squadra simpatia del pubblico e senso di appartenenza nei giocatori. C’è voglia di ben figurare, sfruttando anche le tre partite casalinghe da disputare nel girone eliminatorio. Con molta determinazione e un pizzico di fortuna possiamo arrivare tra le prime quattro. 

Paolo Marcacci